ottobre 2015

periodico di cinema, cultura e altro... ©

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Reg.1757 (PD 20/08/01)

 
 

Ogni anno, alla chiusura del Festival, pesano quasi di più le polemiche sui premi assegnati che le emozioni per le opere presentate.
Beh, in fondo le due cose coincidono, perché quando certi film appagano il tuo giudizio critico non puoi che questionare quando li vedi trascurati nelle scelte della giuria... Tanto vale quindi lasciarsi coinvolgere e, senza particolari commenti, sbilanciarsi apertamente nel mettere in campo una doppia classifica. Da una parte i più eclatanti riconoscimenti ufficiali e dall'altra le proprie corrispondenti  indicazioni di preferenza. A buon intenditor...
 

DESDE ALLÁ di Lorenzo Vigas

Leone d’Oro: il miglior film

RABIN, THE LAST DAY di Amos Gitai

Pablo Trapero per il film EL CLAN

Leone d’Argento: migliore regia

11 MINUT di Jerzy Skolimowski

ANOMALISA di Charlie Kaufman e Duke Johnson

Gran Premio della Giuria

FRANCOFONIA di Aleksandr Sokurov

Valeria Golino nel film PER AMOR VOSTRO

Coppa Volpi: migliore interprete femminile

Catherine Frot nel film MARGUERITE

Fabrice Luchini nel film L’HERMINE

Coppa Volpi: migliore interprete maschile

Fabrice Luchini nel film L’HERMINE

Abraham Attah nel film BEASTS OF NO NATION

Premio Mastroianni: attore emergente

Luis Silva nel film DESDE ALLÁ

Christian Vincent per il film L’HERMINE

Premio per la Migliore Sceneggiatura

ANOMALISA di Charlie Kaufman e Duke Johnson

ABLUKA (Follia) di Emin Alper

Premio Speciale della Giuria

BEIXI MOSHUO di Zhao Liang

THE CHILDHOOD OF A LEADER di Brady Corbet

Premio Opera Prima “De Laurentiis”

DESDE ALLÁ di Lorenzo Vigas

   
 
 
 
                                                 

 



 


Viaggio a Tokyo è stata in tutta Italia, la sorpresa dell'estate. A Padova la sorpresa si è prolungata con il grande risposta alla
retrospettiva Ozu: il suo cinema è caratterizzato da tonalità di tristezza, di malinconico disincanto, ripiegato com’è in una prospettiva di introspezione esistenziale >>


Dopo il successo di Die andere Heimat  il Lux di Padova ha riproposto
la prima serie del capolavoro di Edgar Reitz: in quasi 16 ore di narrazione, dalla fine della Grande Guerra ai giorni nostri, le storia familiari di Schabbach, un villaggio immaginario nella regione dell’Hunsrück. Un grande affresco attraverso cui la storia tedesca contemporanea si rivela e prende corpo  >>


Solo due anni di vita e già il
cineforum Second Life ha cambiato identità. Addio alla verve "popolare" che recupera i successi visti, rivisti (o vergognosamente perduti) della stagione scorsa e avanti tutta con le quasi-novità che hanno marginalmente (o per nulla) varcato lo spazio espositivo delle sale padovane >>


Il docu-film d'arte per riscoprire in sala esposizioni museali, maestri della pittura... Un percorso unico e affascinante sul grande schermo
>>

 

  Riccione, Sorrento, Mantova… Tra le “location” delle vetrine della distribuzione cinematografica quella emiliana ha certo il sapore del cinema di qualità. La XV edizione degli INCONTRI DEL CINEMA D’ESSAI ha confermato che le “sale” presenti hanno un’attenzione particolare per il cinema di qualità e che in tal senso il prodotto offerto da grandi e piccole distribuzioni cede raramente alle sirene del cinema puramente commerciale.
Ciò che si è visto al Multisala Ariston, sia come film in anteprima (ottima la selezione), sia come panoramica dei trailer è stato nella media di buon livello, evidenziando come la politica degli autori non sia una banale etichetta, ma una boa di riferimento per chi intenda il cinema come fatto culturale. Ed è infatti questo lo spirito che da sempre anima la FICE (Federazione Italiana Cinema d’Essai) e il suo presidente Domenico Dinoia l’ha ribadito anche dirigendo il convegno. Le voci e i pareri sono state forse ovvi ma necessari a puntualizzare l’attuale situazione, ben inquadrata dai dati presentati nella ricerca (da Cinetel) elaborata da Mario Mazzetti:

gli incassi afferenti alla programmazione dei 15 film vincitori delle ultime 5 edizioni dei 3 maggiori festival internazionali (Berlino, Venezia e Cannes) hanno sfiorato i 13 milioni di euro, 10 dei quali sono sotati realizzati nelle sale d’essai, vale a dire l’80%.
l’incidenza di circa il 50% va alle sale d’essai anche per i 30 milioni di euro incamerati da un campione di 18 film italiani di qualità usciti negli ultimi 12 mesi.
resta in quest’ottica la debole componente che rappresenta il cinema italiano la cui quota di mercato è scesa dal 26% dell’anno scorso al 18%

Sul palco hanno dialogato Valerio De Paolis della recente distribuzione Cinema, Carlo degli Esposti (Palomar) Francesco Melzi D’Eril della Good Films, Mariella Troccoli del MiBACT, Sonia Ragone (Europa Cinémas), Gianluca Farinelli direttore della Cineteca di Bologna, il presidente ANEC Luigi Cuciniello… Un po’ ripetitivi (e inconcludenti?) i temi affrontati: la quantità (troppi?) e la qualità (spesso mediocre) dei film italiani prodotti, il cruccio della proposta estiva, la ripartizione (poco ponderata) dei fondi statali e il numero forse eccessivo delle sale riconosciute d’essai. La voce dalla platea di Lorenzo Fantoni esercente del cinema Eden di Treviso (e uno dei fondatori della FICE), ha provato a far emerge il nodo dello sbilanciato rapporto di forza tra gli esercenti e i distributori (esosi e propensi ai dictat), ma ormai il convegno era in chiusura… Resta l’impressione che solo chi lavora in prima persona “sul campo” possa aver ben chiare problematiche davvero urgenti e soluzioni auspicabili. Ma in struttura sempre troppo burocratiche e verticistiche quando ci potrà essere un vero ascolto e una proficua riflessione comune?

e.l.    

 

    Non più Festival ma FESTA DEL CINEMA di Roma. Sta in questo cambio di denominazione la chiave per comprendere il nuovo corso della rassegna romana diretta da Luigi Monda. Accettata l’impossibilità di competere con Cannes e Berlino (a distanza siderale) e con lo spirito di eliminare i sospetti di una concorrenza in qualche modo sleale con Venezia, si torna "alle origini", a come l’aveva pensata Veltroni-sindaco 10 anni fa. Preso poi atto del taglio di fondi da 4 a 2 milioni ecco la necessità di una decisa sterzata ritornando alla formula originale: abolito il concorso con giuria e premi, “demondanizzato” il tappeto rosso, la kermesse capitolina si è trasformata in una grande vetrina diffusa sul territorio, con sono sale in ogni quartiere della città, arrivando fino ad Ostia (d’altronde tornata di moda: Suburra, Non essere cattivo, l'anniversario della morte di Pasolini...).
Poche "prime mondiali" eccezion fatta per il "canonico" film con Julianne Moore (Freeheld) e, naturalmente, per i prossimi film italiani in uscita (i modelli sono il Festival di Londra e la Viennale). Alta comunque la qualità generale con tre splendidi titoli provenienti da Toronto,  Room di Lenny Abrahamson,  Mistress America, di Noel Baumbach
film precedente in archivio,   Truth di James Vanderbilt  e alcune chicche da far venire da far venire

l’acquolina in bocca alla vasta schiera dei patiti seriali: Fauda, dell’israeliano Assaf Bernstein, e le prima due puntate della seconda serie di Fargo. Inoltre una memorabile sequenza di incontri-conferenze (accompagnati da filmati ad hoc) con la presenza di personaggi del livello di Todd Haynes, Sorrentino, Joel Coen e consorte, Jude Law.
Da segnalare infine l’eccellenza assoluta la sezione Alice nella città, cinema dei giovani per i giovani (è quasi auspicabile un festival a parte) a cui si devono le migliori sorprese da Grandma di Paul Weitz
film precedente in archivio a The Wolfpack, da Une enfance fino al vincitore, Vier Könige. In complesso quindi un successo, nonostante un afflusso di pubblico all’apparenza inferiore alle stagioni passate.
E poi c’è l’aria di Roma, che è sempre un bel vivere.

Giovanni Martini    

 

      (e.l.)   Ci sono bachi culturali che sedimentano talvolta nella memoria. Aspettando l'inizio del concerto di Steve Hackett al Geox di Padova (24 settembre 2015), mi domandavo quale "song" dei Genesis mi sarebbe più piaciuto riascoltare nell'esibizione dello storico chitarrista del gruppo. E mentre Hackett "scaldava" il pubblico con brani della sua produzione da solista (Spectral Mornings, Wolflight, Every Day, Love Song To A Vampire, Star of Sirius...) mi sono reso conto che nella mia alternativa di preferenza tra Looking for Someone (Trespass) e The Musica Box (Nursery Crime) c'era un vizio di forma (e di ricordo): non era solo Phil Collins che era arrivato come new entry a sostituire John Mayhew nel 1971; anche Steve Hackett non faceva parte della band ai tempi di Trespass (c'era Anthony Phillips!). Dimostrazione ulteriore del "genesis touch", uno stile che si è perpetuato per almeno cinque album creando atmosfere ed emozioni davvero uniche.
È stato così un piacere partecipare al grande entusiasmo che ha accompagnato l’arrivo sul palco di Nad Sylvan (camicia bianca con volant, chioma bionda fluente, portamento “dandy”) grazie alla cui voce hanno preso vita brani indimenticabili come Get 'Em Out by Friday, Can-Utility and the Coastliners, Dancing with the Moonlit Knight, The Cinema Show, The Lamb Lies Down On Broadway, Firth Of Firth (nel bis)… Il momento topico è stato però quando Sylvan ha intonato “Play me Old King Cole”. The Musical Box, nel fascino della sua lunghezza, ha dato modo a tutta la band di mostrare il suo valore e ad Hackett di evidenziare la sua preziosa capacità di farsi leader e comprimario a seconda delle situazioni sonore. Il sessantacinquenne chitarrista ha saputo dar modo ai singoli componenti (Roger King - tastiere, Gary O'Toole - batteria, Rob Townsend - sax, Roine Stolte - basso) di esibire le proprie (alte) professionalità in significative parentesi soliste, ma la sua presenza al centro del palco è stata sempre di riferimento; e quando la sua Gibson ha preso spazio i riflettori dell’emozione sonora sono stati tutti per lui.
I suoi splendidi assoli sono stati momenti “magici” di una repertorio che resta storicamente legato ai primi anni ’70, ma che ancor oggi sa suscitare una forte “nostalgia” empatica.

 

       (e.l.) Venice Music Project, Andrea di Robilant, A Venetian Affair… Nomi e titoli forse sconosciuti ai più, ma corrispondenti ad una realtà culturale, ad un ambizioso progetto che parte da un’associazione (Venice Music Project) che “nel condividere la gioia della musica, promuove e sostiene il restauro della Chiesa di San Giovanni Evangelista e delle opere in essa custodite" Ecco, il nome della chiesa aiuta a identificare “il progetto”: siamo a Venezia , in Campo San Polo, dove, per la concretizzazione dell’obiettivo si organizzano concerti e performance artistiche. Quella di ottobre (quattro serate, due in lingua inglese, due in italiano) era appunto A Venetian Affair, storia tragico-romantica dell’amore tra Andrea Memmo e Giustiniana Wynne. Il tutto narrato in prima persona dall’autore (Andrea di Robilant) in un cornice dal fascino antico (regia e scene di Barbe & Doucet) e con l’accompagnamento della piccola orchestra Venetia Antiqua con il soprano Liesl Odenweller. Oltre due ore di recitativo, rilettura di antiche lettere, brani di Antonio Vivaldi, Johann Adolf Hasse, Alessandro Marcello per mettere inscena la triste istoria di Andrea e Giustiniana, innamorati fin da giovanissimi, costretti ad un rapporto segreto dalle rigide regole della Serenissima di tre secoli fa, travolti da affari di concubinaggio e progetti matrimoniali non andati a buon fine. Un’esperienza culturale-artistica, quella di A Venetian Affair, davvero originale, con un pregio su tutti: quello di aver accompagno il pubblico in un breve viaggio fuori dal tempo nella Venezia del 1700,  tra fogli spiegazzati, facsimile delle vecchie lettere, e le coreografie barocche allestite nella Chiesa. Lo spettacolo ormai “è andato”; la Chiesa di San Giovani Evangelista resta, con i suoi splendidi dipinti (Tintoretto!). Una visita che merita.




 

     (m.c.n.s) Dopo il grande successo di Roma al Chiostro del Bramante ed a Palazzo Albergati di Bologna, la mostra dedicata a Maurits Cornelis Escher approda a Treviso (dal 31 ottobre) con il patrocinio del Comune, prodotta ed organizzata da Arthemisia Group (in collaborazione con la M.C. Escher Foundation) e curata ancora da Marco Bussagli e dal collezionista Federico Giudiceandrea.
Il percorso espositivo della mostra propone interessanti confronti, un percorso originale di nascita dell’arte di Escher, il suo vivere in Italia per 13 anni – un lungo ‘gran educational tour’ ultra-stendhaliano durato dal 1922 al 1937. Aveva avuto un grande maestro, l’Ebreo sefardita Samuel Jesserum de Mesquita, quello che lo aveva introdotto alla sua futura professione, dato vita alla sua carriera e, soprattutto, gli aveva istillato la passione della sua vita, il disegno, l’incisione, un tipo di ‘arte scientifica’ che strabilierà gli scienziati ortodossi. Disegnava per istinto poi, al contrario, le sue opere si svelarono come opere di profonda scientificità, pieni di segni…pre-monitori, davvero d’eccezione, per un artista del suo genere, autentiche ‘lezioni’ per docenti della materia.
Presenti in mostra le prime opere a carattere geometrico, di cui alcune nate con l’intento quasi didattico di spiegare i metodi di tassellazione e la derivazione dai mosaici dell’Alhambra, arrivando poi ai capolavori oggi noti a tutti gli appassionati, ma anche opere rare a vedersi.
Alla prima categoria appartengono la celebre Mano con sfera riflettente realizzata proprio nello studio della palazzina di via Poerio a Roma, dove Escher progettò anche la decorazione pavimentale di cui è possibile ammirare quattro mattonelle originali.
Non manca ovviamente quel capolavoro che è Metamorfosi II - di certo una delle più lunghe incisioni mai realizzate - esteso su quasi quattro metri: un capriccio intellettuale, dove una forma finisce per trasformarsi nell’altra, in una rincorsa circolare che, partendo dalla parola «metamorfosi», con questa stessa si conclude. All’origine c’è la parola metamorphose: essa, presto, diventa una scacchiera dalla quale emergono dei lucertoloni che si trasformano in esagoni regolari e poi in arnie, dalle quali escono delle api che diventano gli uccelli, che a loro volta cedono il passo a dei pesci, che quindi si trasformano in poliedri dai quali nasce un paese, con una torre che si affaccia sul mare, che presto ridiventa una scacchiera, in un percorso ellittico di mutazione.
Una mostra che si presenta come uno splendido iter per immagini, la storia di una grande vita d’Artista degna d’essere vissuta.
 

 

 

    (m.c.n.s) A cento anni dalla loro creazione tornano a Ferrara i rari capolavori metafisici che Giorgio de Chirico dipinse a Ferrara tra il 1915 e il 1918, gli anni del Primo Conflitto Mondiale. Una mostra, organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalla Staatsgalerie di Stoccarda (in collaborazione con l’Archivio dell’Arte Metafisica) e curata da Paolo Baldacci e Gerd Roos, che celebra questa importante stagione dell’arte ferrarese e poi italiana e documenta la profonda influenza che queste opere ebbero in quegli anni su Carlo Carrà e Giorgio Morandi, e poco dopo anche sulle Avanguardie Europee del Dadaismo, del Surrealismo e della Nuova Oggettività.
Quando l’Italia entra in guerra, de Chirico e suo fratello Alberto Savinio lasciano Parigi per arruolarsi e alla fine di giugno del 1915 vengono assegnati al 27° Reggimento Fanteria di Ferrara. Il soggiorno nella città emiliana determina cambiamenti profondi, tanto nella pittura di Giorgio e nei temi ispiratori dei suoi quadri quanto nelle creazioni di Alberto, che a Ferrara abbandona decisamente il primo amore ereditato dai geni di casa, la Musica, per dedicarsi solo alla scrittura. Travolto dalla bellezza ieratica e misteriosa della Città Estense, avvolta nelle sue languide nebbie, De Chirico, creando una nuova semantica, una nuova cifra stilistica insomma una nuova filosofia di arte e di vita, la rende protagonista di alcuni dei suoi più famosi dipinti, nei quali il Castello Estense o le grandi piazze deserte e senza tempo, riprese cinematograficamente da Michelangelo Antonioni
film precedente in archivio, alcuni anni più tardi, divengono pura magìa.
Con capolavori quali  I progetti della ragazza (1915), Il grande metafisico (1917), Le Muse inquietanti (1918), la mostra, la prima in senso assoluto dedicata all’indagine e all’approfondimento delle peculiarità artistiche e culturali di questo periodo cruciale per l’arte italiana ed europea, presenta la più completa rassegna che si sia mai potuta vedere dei capolavori dipinti da de Chirico e Carrà nel 1917 a Villa del Seminario, l’ospedale psichiatrico militare per la cura delle nevrosi di guerra – poi divenuto un istituto di recupero e di rieducazione, ancor oggi - dove i due artisti furono ricoverati nella primavera-estate del 1917 sviluppando un intenso sodalizio di lavoro. Così
per la prima volta, dopo quarantacinque anni si potranno vedere allestiti, uno accanto all’altro, gli originali dei grandi manichini di Giorgio de Chirico del 1917-18 insieme con la serie quasi completa delle opere metafisiche di Carrà: da Il gentiluomo ubriaco a Solitudine e L’idolo ermafrodito, per non citarne che alcune.
Presenti anche opere di Giorgio Morandi, Filippo de Pisis (il primo e più fedele compagno ferrarese di De Chirico) ed una serie importante di lavori di Man Ray, Raoul Hausmann, George Grosz, René Magritte, Salvador Dalí e Max Ernst, che realizzarono straordinari capolavori ispirati ai temi e alle iconografie ferraresi di de Chirico e di Carrà.
Da segnalare come il percorso espositivo, che comprende circa ottanta opere provenienti dai principali musei e collezioni di tutto il mondo, diverrà itinerante, trovando una seconda sede, successivamente, alla Staatsgalerie di Stoccarda.

    A Padova, nella splendida cornice di Palazzo Zabarella, è da non perdere l'antologica dedicata a Giovanni Fattori che ben evidenzia l’eclettismo di un artista in grado di sperimentare, nel suo lungo e crescente iter creativo, i generi più diversi. L’esposizione, dal taglio cronologico e tematico (curatori Francesca Dini, Giuliano Matteucci e Fernando Mazzocca) mette in mostra oltre cento dipinti, dall’Autoritratto del 1854 agli ultimi lavori eseguiti agli inizi del Novecento e durerà fino al 28 marzo del 2016.
Le doti di Fattori (Livorno, 1825 - Firenze, 1908) si erano rivelate piuttosto tardi, quando, superati i trent’anni, aveva partecipato alle animate serate del Caffè Michelangelo, a Firenze il palcoscenico della cosiddetta rivoluzione della “macchia”. Si chiamavano, infatti, Macchiaioli, per una sorta di irridente ‘sfottò’ ai noti e più ‘ieratici’ Impressionisti, meno convinti di loro di creare una rivoluzione en plein air nell’arte (a quel periodo appartengono i piccoli formati delle leggendarie tavolette, come La rotonda di Palmieri, che qui si possono apprezzare). Tra quegli artisti ancora in fieri era anche il giovanissimo Giovanni Boldini che aveva appena lasciato la nativa Ferrara per dare inizio ad una carriera fortunatissima che lo porterà ai fasti ed agli amori borghesi e senza fine della Ville Lumière.  Ma Fattori era più sensibile ai mutamenti sociali: passava, infatti, con facilità, dal paesaggio, al ritratto, alle cronache della storia contemporanea, dove fu testimone di un’epoca, alle scene di vita popolare, dove seppe condividere gli stati d’animo ed i problemi più drammatici di un’umanità sempre più in fermento ed in crescita. Ed è proprio nelle opere ‘in grande’ (quasi teleri), in cui la dimensione epica riflette i mutamenti storici e sociali che andavano trasformando il Bel Paese, che ancora traspare l’anima dello sperimentatore Fattori il quale approda, pian piano, ad un’arte antesignana, premonitrice, quella che lo avvicina all’ultimo Cézanne, ma che pur lo lascia indenne, puro nella sua originale personalità, quella che si ravvisa nei drammatici capolavori della maturità, come Il muro bianco (In vedetta) o Lo staffato, espressi con un linguaggio che va oltre la dimensione della denuncia per raggiungere una prospettiva universale.
Da sottolineare, in chiusura, come l’esposizione di Palazzo Zabarella offra anche il nocciolo dell’arte di Fattori, la sua produzione grafica, grazie ad una sezione formata da una decina di acqueforti incise su zinco. Il tutto ben illustrato e commentato nel ricco, tradizionale catalogo Marsilio.

Maria Cristina Nascosi Sandri      

 

in rete dal 3 novembre 2015

 

 

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