Sulla
scia del trionfo a Cannes 2014 di
Winter's Sleep di Ceylan, il cinema turco si presenta
a Venezia con un altro film importante, capace di dividere il
pubblico e la critica. Si tratta di
Abluka,
Frenzy, Follia, opera
seconda (era già stato premiato a Berlino con il Premio Caligari per
la sua prova d'esordio Beyond the Hill) del regista Emin Alper.
Uscito di prigione in libertà condizionata dopo vent'anni ivi
trascorsi per un grave e misterioso delitto di cui non sapremo mai
nulla, Kadir viene "assunto" da un viscido funzionario di polizia,
Hamza; suo compito, pena il ritorno in carcere, sarà ispezionare i
cassonetti di una degradata periferia dove si sospetta agisca un
gruppo terroristico, alla ricerca di tracce di esplosivi e simili.
Nello stesso quartiere abita il fratello (minore di vent'anni) Ahmet.
Abbandonato da moglie e figli, egli è a capo di una squadra comunale
dedita all'abbattimento (non alla cattura!) dei cani randagi.
Sembra subito evidente l'assurdità e la simbolicità dei due
mestieri. Frugare nell'immondizia: tutti possono essere colpevoli,
tutti devono essere tenuti sotto controllo. Uccidere i cani come
metafora degli ultimi, dei diversi, la cui eliminazione è simbolo
della spietatezza di un potere di cui i due fratelli sono esecutori
e soldati.
A fare da sfondo una città indefinita (Istanbul?) di spettrali
grattacieli, strade dissestate continuamente percorse da mezzi
militari, la notte squarciata dai rumori delle esplosioni e
illuminata dalle fotoelettriche dell'esercito. È la Turchia laica
di Ataturk, senza moschee, né donne velate, né folklore alcuno, in
compenso militarizzata, percorsa da un disagio diffuso, in preda a
un terrore invisibile, ma palpabile; è forse questa la Turchia di
Erdogan?
In un crescendo di episodi, a volte non sempre comprensibili o
collegabili tra loro, si va verso una "follia" diffusa: i misteriosi
vicini Alì e Meral che scompaiono (fuggendo da chi?), l'esagerata
solerzia di Kadir che arriva a vedere nemici dappertutto,
l'inspiegabile diffidenza del fratello minore, il reiterato
passaggio a bordo di uno scooter di un terzo amatissimo fratello di
cui si sono perse le tracce da tempo, ma che Kadir dice di
riconoscere dagli occhi ("E' lui"). E' forse questo terzo uomo il
fantasma di chi non ha accettato di mettersi al servizio del potere
e si è dato alla macchia, al possibile terrorismo?
Si, perché
Abluka è questo: un film sul terrorismo reale o
immaginario, del potere e contro il potere, il terrorismo diventato
ormai quasi una categoria della realtà e dello spirito, con cui
tutti dovremo imparare a convivere.
Unica nota discordante, l'involontario sacrificio di Ahmet che,
impietositosi di un randagio ferito lo porta a casa per curarlo e
morirà (scambiato per un terrorista) nell'assurdo tentativo di
nasconderlo.
Film discontinuo, molto lento all'inizio, e soprattutto, e qui sta
la genialità della regia, continuamente aperto ad interpretazioni
contrastanti. Quasi ogni scena è "doppia", vista prima con gli occhi
di un protagonista e dopo attraverso quelli di altri personaggi; è
questa la sfasatura, l'allucinazione di tutti e su tutto, che
giustifica il titolo Follia.
Ingiustamente escluso da qualsiasi premio,
Abluka è un film
premonitore? Certo che sì. Il recente episodio dei 150 morti di
Ankara è emblematico: chi c'è dietro? A chi giova (cui prodest)? E
soprattutto what's next? Alper ci aveva preparato a questo.
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