Palma
d’oro al Festival di Cannes, candidato turco agli Oscar, arriva in
sala Il regno d’inverno, l’ultimo film di Nuri Bilge Ceylan.
Un’opera che dialoga con lo spettatore prima ancora che il film inizi.
La cosa che chiede è quella di accettare la sua lunghezza: si tratta
infatti di tre ore e venti di grande cinema. Una durata inconsueta per
un film che esce in sala nella sua unica versione possibile. Nessuna
parte uno e nessuna parte due nessuna versione per la sala e nessuna
versione integrale.
Il regno d’inverno
è così, ha quella lunghezza e chiede allo spettatore di immergersi nel
mondo che gli offre.
Il. mondo messo in scena da Ceylan è una sorta di immenso palco
teatrale nel quale il “re” del regno è Aydin, un attore di mezza età
che, ritiratosi dalle scene, gestisce un albergo in Cappadocia. Qui,
oltre a qualche sparuto turista, troviamo le due “regine”, la sorella
Necia, con la quale ha un rapporto costruito su piccole e continue
provocazioni e la giovane e bellissima moglie Nihal.
Per tutta la durata del film, lo spettatore assiste a lunghi dialoghi
nei quali ci si immerge, oltre che nel grande cinema, nella grande
letteratura. I modelli di riferimento sono tre racconti di Cechov, di
cui Ceylan non rivela i titoli per non orientare troppo la lettura del
film, e Shakespeare, omaggiato anche nel nome scelto per l’albergo che
infatti si chiama Otello.
Gli avvenimenti attorno ai quali si sviluppa la trama sono minimi. Si
può dire che tutto abbia inizio dal lancio di un sasso che colpisce la
macchina di Aydin e che lo obbliga a conoscere e a prendere
consapevolezza dei suoi vicini. Oppure tutto ha inizio quando Nihal
decine di dar vita un progetto benefico per contribuire all'istruzione
delle nuove generazioni. O tutto comincia quando la sorella Necia deci
de di rifugiarsi nell'albergo dopo un divorzio non ancora sopito.
Non c'è mai un vero centro ne
Il regno d’inverno.
Piuttosto, come succede a teatro, c'è la messa in scena di qualcosa di
statico. Il teatro, differentemente dal cinema, tende a piegare le
trame verso se stesse, materialmente il palco delimita il dinamismo
che non può accadere oltre che allo spazio della scena.
Ma Ceylan, fa de
Il regno d’inverno
qualcosa che è cinema, teatro, pittura e letteratura allo stesso
tempo. Conta la qualità della messa in scena, sia che sia al chiuso di
una stanza o che prenda vita dall'incredibile scenografia offerta da
certi quadri che ci parlano di una Cappadocia piena di mistero, come
fosse un luogo alla fine del mondo, perfetto quindi per rifugiarvisi.
L’autore non si preoccupa dei tempi, come quando si scrive non ci si
pone il problema se il libro sarà di cento, duecento o trecento
pagine. Ci si impiega il tempo necessario. Per questo motivo
Il regno d’inverno
è prima di tutto un'esperienza, che esce dai canoni cinematografici. E
chiede semplicemente di essere attraversata.
Ceylan chiede di varcare le soglie di questo regno. Vuole raccontare
delle umanità. Ne mette in scena le miserie, i dubbi, le frustrazioni.
Ci parla di cosa si è fatto, di cosa si voleva fare e di cosa non si è
riuscito a realizzare. Consiglio per la visione: guardate, ascoltate,
distraetevi, annoiatevi, vivete questo tempo in tutte le forme
possibili, come accade nella vita, quella vera, quella di tutti i
giorni.
|