Sangue del mio sangue
Marco Bellocchio - Italia/Francia/Svizzera 2015 - 1h 47'

premio FIPRESCI
VENEZIA 72 - Concorso

    Il cinema di Bellocchiofilm precedente in archivio non risponde mai a convenzioni, non ha agganci, rimandi esterni: è solo e semplicemente il cinema di Bellocchio. Trova solo da sé e in sé i suoi riferimenti e le sue energie. In epoca di sceneggiature sofisticatissime nello scomporre e ricomporre le parti del racconto, sempre però secondo criteri di verosimiglianza, il settantenne Bellocchio in questo film ha la giovanile sfrontatezza di mandare all'aria gli schemi e la libertà di spezzare le strutture, con una leggerezza narrativa e un'ironia graffiante, che non possono non sorprendere lo spettatore, generando reazioni contrastanti, di entusiasmo, come in chi scrive o di fastidio soprattutto in chi ha dimenticato il vecchio predicato che richiede allo spettatore la “sospensione dell'incredulità”.
Diviso in due parti da uno stacco così netto da diventare impercettibile
Sangue del mio sangue parte dal passato, dall'ambiente claustrale seicentesco, dove una monaca accusata di aver sedotto un prelato viene murata viva, per passare, una volta rinchiusa dietro un muro la passione, ad un presente abitato da vampiri, da oscure consorterie, da morti che comandano su folli sbandati, da personaggi dai nomi significativi: il conte “Basta”, il dottor “Qualunque”, oltre a Federico “Mai”, ma anche da speranze inattese, da svolte inaspettate, capaci di cambiare all'improvviso il tono e l'atmosfera.
A nulla serve sottolineare che si tratta di due film realizzati a tre anni di distanza l'uno dall'altro (il primo nasce infatti come un corto, dal titolo La monaca di Bobbio, nell'ambito dei laboratori di “Fare cinema”, che Bellocchio organizza a Bobbio con giovani aspiranti cineasti) e cercarne i legami più o meno evidenti. Il film è sangue del sangue di Bellocchio e si nutre dei suoi temi, delle sue ossessioni: l'oscurantismo della chiesa, lo strapotere democristiano, la forza eversiva della passione, il suo cinema precedente, la sua famiglia (interpretato dal figlio Pier Giorgio e dalla figlia minore Elena) i suoi attori (Herlitzka, Timi), i suoi studenti e soprattutto Bobbio, attorno a cui ruota tutto il suo mondo. Tutto parte da lì e torna lì, al luogo originario, alle sue asfissie e alle sue spinte dirompenti. E davvero sembra che Bellocchio voglia portarsi dietro tutto il suo vissuto, i luoghi, le cose, i film fatti, le persone che li hanno abitati e continuano ad abitarli. Ma non come fossero un peso morto: semplicemente ritrovando in essi l'origine di un’ispirazione creatrice inarrestabile.
È ciò che spiega l'impressione di freschezza e leggerezza di un film, che sembra fatto da un ventenne: Bellocchio è un regista giovane proprio perché ha scoperto che la maturità e la vecchiaia non intaccano le forze più intime, più segrete, più vitali. “Voglio semplicemente accarezzare, proteggere, guardare” spiega il vecchio conte Basta (un sempre splendido Herlitzka) al suo assistente, che gli rimprovera le eccessive attenzioni dimostrate nei confronti di una giovinetta. Lo spirito vitale è sempre vivo, sempre in movimento: non c'è prigione, regola, convenzione che lo trattenga: il diavolo è sempre in corpo.

Cristina Menegolli - ottobre 2015 - pubblicato su MCmagazine 38