Al termine del loro viaggio tra le sale
interminabili dell'Hermitage la voce dell’Uomo ha invitato il
Marchese, compagno di avventura ad andare avanti. Io rimango qui
– ha risposto il gentiluomo con voce ferma. Addio Europa – ha
sussurrato allora la voce – è tutto finito… Ma il mare oltre quei
muri aspettava e le ultime parole di
Arca russa spingevano verso
occidente: Guardi, c’è il mare tutto intorno … e dovremo navigare
per sempre, e vivere, per sempre.
L’approdo è stato il Louvre.
Francofonia apre sull'immagine di un mare in tempesta, in cui l'arca,
con il suo cargo di container pieni di opere d’arte, va alla deriva,
mentre il regista stesso e l'amico capitano dialogano sul destino
dell'arte.
Se l’Hermitage nell’Arca russa era uno spazio unico da percorrere
nella fluidità di un piano sequenza popolato degli spettri della
storia, il Louvre è uno spazio frammentato, cui Sokurov nega una
visione unitaria, come uno specchio rotto in cui si riflettono i
frammenti di un tempo imploso nella sua follia: intravisto nelle
planimetrie, osservato attraverso la piramide di vetro o con una
straordinaria prospettiva dall'alto del tetto, ma soprattutto filtrato
dalla macchina da presa che riprende quadri, che rappresentano
particolari del Louvre stesso, che a loro volta verranno mostrati in
una sorta di mise en abyme. (Come in
Faust qui Sokurov si avvale della
collaborazione dello straordinario direttore della fotografia Bruno
Delbonnel, abilissimo nel combinare insieme riprese in digitale e
filmati di repertorio rielaborati, lavorando sulle immagini con
sovrapposizioni, incorporando altre componenti visive , distorcendo e
modificando prospettive).
È un'operazione di scavo quella che Sokurov mette in scena in questo
film sorprendente: uno scavo nella memoria e quindi una riflessione
sul rapporto tra arte e storia.
Il pretesto narrativo è quello di rievocare la storia del Louvre ai
tempi della Seconda Guerra Mondiale, quando l'allora direttore Jaques
Jaujard e l'ufficiale dell'occupazione nazista, il conte Franziskus
Wolff-Metternich collaborarono allo scopo di salvare le opere d'arte.
Considerando il rapporto tra arte e potere, in questo caso il grande
museo parigino diventa un esempio vivo di civiltà, carico della
sacralità di un tempio, luogo dello spirito, che ha potuto sopravvivere ai
disastri della storia, preservando i suoi tesori dalla furia
distruttrice del nemico, emblema particolarmente significativo in
questi tempi.
Ma anche altri fantasmi si aggirano per le sue sale: Napoleone che
rivendica il merito di aver saccheggiato per salvare (“c’est moi” ) e
la Marianna che invece sussurra in ogni dove come un’ossessa il suo
“Liberté, Égalité, Fraternité”…
Nel rendere omaggio al ruolo conservativo del grande museo parigino,
Sokurov sembra contemporaneamente riflettere sulla contrapposizione
tra la natura contenitiva della conservazione e l’esigenza libertaria
dell’arte, sul miraggio di un’Arte che sia capace di stare davvero
nella realtà, al di là di quei meravigliosi nascondigli che sono i
musei.
Perchè
Francofonia è solo apparentemente un film sulla conservazione,
ma piuttosto un'opera sulla dispersione, sulla diaspora dell'arte,
sulla sua fuga altrove, al di là dei saloni e dei corridoi del Louvre,
dell'Hermitage, o del Prado e del British Museum (che dovrebbero
chiudere la tetralogia museale pensata da Sokurov).
E alla fine del film l'arca si squarcerà e con la nave e con il suo
carico prezioso d’arte museale scomparirà forse la speranza per l’uomo
di sconfiggere il tempo.
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