È
un annuncio
inconsueto pubblicato su un quotidiano di Teheran l'evento su cui è
costruito
Wednesday May 9,
film iraniano del regista Vahid Jalilvand presentato a Venezia nella
sezione Orizzonti. Un annuncio che promette una cospicua somma di
denaro a chi dimostrerà di averne più bisogno, basterà presentarsi la
mattina di mercoledì 9 maggio presso l'indirizzo indicato.
Ed è quello che fa Leila, una donna che lavora in fabbrica, con una
figlia piccola e un marito infermo, a cui servirebbe una costosa
operazione per migliorare le sue condizioni. La donna, tuttavia,
giunta sul posto, si trova davanti a una moltitudine di bisognosi e
alle forze dell'ordine intente a disperderli, e non riesce a
raggiungere l'inserzionista. Avendo però riconosciuto in lui Jalal, un
uomo con cui era stata fidanzata molti anni addietro, non si dà per
vinta e la sera stessa torna ad attenderlo per esporgli il suo caso.
Chiuso quello che potremmo definire il "capitolo Leila", il film fa un
balzo indietro di qualche giorno, per seguire le vicende di Setareh,
una ragazza che si è sposata di nascosto, contro il volere della sua
famiglia. Cacciata di casa, incinta e col marito accusato di
aggressione, ha bisogno di soldi per farlo uscire dal carcere. Ed
eccoci quindi a rivivere la stessa giornata da un altro punto di
vista, perché Setareh, come un centinaio di altre persone, non si
arrende davanti alle minacce della polizia e attende paziente il suo
turno per narrare la sua storia.
Infine, con un ultimo stacco, veniamo riportati alla mattina stessa
per affiancare Jalal, un uomo distrutto dalla perdita del figlio
bambino, che poteva, a suo dire, essere evitata se soltanto qualcuno
fosse stato disposto a venire in suo aiuto. Ed ora, forse per voler
dimostrare al mondo intero che lui è migliore di chi gli ha chiuso la
porta in faccia, forse solo perché comprende che cosa voglia dire aver
bisogno di aiuto e non ottenerlo, decide di devolvere tutto il denaro
ricavato dalla vendita della sua auto al prossimo. Ma quello che
doveva essere un semplice atto di carità si trasforma in una
complessissima operazione per selezionare il bisognoso più
"meritevole" tra una moltitudine di candidati le cui storie sono tutte
parimenti drammatiche. Quale criterio adottare per la scelta? Solo la
mattina del giorno successivo, quando le storie di Jalal, Leila e
Setareh torneranno a convergere, verrà svelata la decisione presa.
Jalilvand, nel raccontarci la storia di un uomo consumato dalla
disperazione e delle due donne che incrociano la sua strada, sceglie
di soffermarsi maggiormente su queste ultime e dipinge un ritratto di
donne tenaci, che non si arrendono, decise ad affrontare e a risolvere
i problemi piuttosto che aspettare che il destino faccia il suo corso.
Sono l'unica possibilità di salvezza per i loro mariti, eppure ad essi
devono sottostare: alle loro decisioni discutibili, alle loro gelosie
infondate, persino alle insinuazioni più o meno velate su cosa abbiano
dovuto concedere in cambio del denaro promesso. Un'ulteriore
testimonianza della condizione difficile della donna in Iran, quindi,
alla quale viene richiesto di essere il sostegno della famiglia
negandole però il mezzo per riuscirvi: la propria autonomia.
Ma non è soltanto questo. Jalilvand ci mostra anche una società in cui
i problemi dei cittadini non vengono presi in carico dallo Stato (che
anzi sembra disinteressarsene), ma la cui risoluzione è delegata al
buon cuore del singolo, sia esso un benefattore improvvisato, come
Jalal, o un ufficiale di polizia che, contro le regole, decide di
fermare il pestaggio di persone colpevoli solo di aver bisogno
d'aiuto.
Wednesday May 9
è un'opera interessante, a tratti coinvolgente, che può contare su una
storia originale, dialoghi ben scritti e attori capaci, tra i quali
spiccano le due protagoniste femminili: Niki Karimi, star del cinema
iraniano che veste i panni di Leila, e Sarah Ahmadpour, per la prima
volta sul grande schermo, nel ruolo di Setareh. Il film cede, in
parte, nella scelta di una struttura a episodi: seguire tre linee
narrative diverse, lasciando per ultima quella che dà un senso alle
altre due, se da un lato può fornire ritmo alla storia creando
aspettative sul finale, dall'altro rischia di lasciare lo spettatore
disorientato, costretto a ricucire mentalmente tempi ed eventi per non
perdere il filo del racconto. Non è un'impresa facile dimostrarsi
all'altezza dei registi iraniani già conosciuti e premiati a livello
internazionale come, per citare solo i due più recenti, Jafar Panahi
(Orso d'Oro 2015 con
Taxi Teheran) e Asghar
Farhadi (Orso d'oro e Oscar 2012 con
Una separazione). Ma
Jalilvand, a giudicare da questa sua opera prima, è sulla buona strada
per riuscirci.
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