L’imitazione
porta con sé una connotazione preferibilmente evitabile ed è per
forza di cose riferita all’opera e all’ingegno dei più grandi. E’
grazie allo studio, all’assimilazione e al confronto con ciò che è
stato creato e ci ha preceduto però, che è possibile sviluppare
altre forme, visioni e interpretazioni del proprio immaginario di
riferimento. Fare i conti con le rappresentazioni che si ritengono
essere più vicine e adese alla sensibilità, soprattutto artistica,
significa piantare le fondamenta per la strutturazione di un
percorso (si spera) non privo di significazione.
Pengfei, classe 1982, proviene da una famiglia di artisti dell'Opera
di Pechino. Sotto l'influenza dei genitori matura una forte passione
per l'arte. Si trasferisce a Parigi, dove studia cinema presso l'Institute
International de l'Image et du Son, laureandosi in regia. Dopo
sette anni di immersione nella cultura europea, che ne trasforma la
personalità e il punto di vista, torna in Cina.
Underground Fragrance,
presentato in concorso alle Giornate degli autori della
72esima edizione del Festival di Venezia, segna l’esordio nella
regia di un lungometraggio, dopo aver realizzato tre cortometraggi (Entre
mon rêve et la réalité nel 2005,
Et si tout pouvais recommencer nel
2006 e Le luxe: Portraits d'Humains
nel 2007) e soprattuto la seguente e significativa esperienza come
aiuto regista di Tsai Ming Liang in Face
nel 2009, The Diary of a Young Boy
e nel corto Walker nel 2012. Non
è difficile dunque immaginare l’intensità che il rapporto con uno
dei massimi maestri della costruzione cinematografica contemporanea,
con la delicatezza e l’impeto del sentimenti e al contempo la
raffinatezza e la purezza delle immagini che gli sono proprie, abbia
soverchiato e inciso sul giovane allievo un rispetto e una
gratitudine e un riconoscimento che lo hanno spinto alla scrittura
di questo breve lungometraggio.
Tre solitudini si intrecciano nella quotidianità della Pechino dei
nostri giorni: Yong Le, un giovane lavoratore migrante, di giorno,
recupera mobili che poi rivende.; un incidente però, lo rende
temporaneamente cieco. Per orientarsi, quando fa ritorno nel
sotterraneo dove alloggia, si aiuta con una corda. Poi incontra una
ragazza, Xiao Yun, anche lei migrante e le cose cambiano. La
relazione con Yong Le, spinge la ragazza a cercare un lavoro più
rispettabile della ballerina di pole dance. In superficie, Lao Jin
cerca di raggiungere un accordo decente con le autorità che vogliono
demolirgli la casa. E fa affidamento su Yong Le per vendere i suoi
mobili a un buon prezzo. Queste tre vite, spinte dal "sogno cinese",
si intrecciano nel vasto melting pot della metropoli orientale.
Il titolo indubitabilmente suggestivo lascia trasparire la
sensazione evanescente del racconto poetico di un desiderio
eternamente insoddisfatto e incompiuto. Un omaggio emozionato e
doveroso a un maestro - e con ogni probabilità anche un padre - che
ha marcato l’immaginario di una generazione cresciuta nel solco di
quel disperante cambiamento nella cultura orientale e cinese, dentro
quel vuoto profondissimo fatto di solitudine incessante e
ininterrotta dentro la quale l’uomo continua a lottare con la
fantasia e il sogno. Se pertanto il debito con Ming Liang è più che
evidente, dichiarato, Pengfei cerca di raccontare l’isolamento e
l’affettività umana dal punto di vista che conosce meglio, quello
dell’immigrato: “Io stesso sono stato un "nomade" a Parigi, e la
mia famiglia, attualmente, sta soffrendo a causa dei guasti
provocati dai progetti di delocalizzazione”.
Underground Fragrance
coniuga la
rappresentazione di un nuovo e ossessivo mondo e delle sue drastiche
contraddizioni con l’accennata e discordante purezza impulsiva dei
reietti, dei poveri, di coloro costretti a vivere in una città
sotterranea - o letteralmente nei bassifondi - per non essere
spazzati via come gli edifici che si vuole sostituire per fare
spazio al fervente consumismo. L’oscuramenti della vista, l’assenza
di contatto fisico, la muffa, le pareti sventrate, l’acqua che
dilaga, stagna, si insinua, scorre e monda l’inutile esistenza, sono
quegli elementi che demarcano la separazione incolmabile tra gli
esseri umani, il loro essere invisibili gli uni rispetto agli altri.
Impossibile e ridicolo pensare di raggiungere l’ampiezza di respiro
di Tsai Ming Liang, questo Pengfei sembra averlo capito, ma partire
da quanto ci ha lasciato è il modo più appropriato per ricordare
l’occorrenza del suo cinema.
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