Rabin, The Last Days
Amos Gitai - Israele/Francia 2015 - 2h 33'

Mountain
Yaelle Kayam - Israele/Danimarca 2015 - 1h 23'

Venezia 72 - Concorso

Venezia 72 - Orizzonti

      Viene da Israele il "gioiellino" di questo Festival di Venezia. Siamo a Gerusalemme; al limite di un immenso cimitero che al giorno d'oggi occupa il famoso Monte degli Ulivi, in una modesta casa che quasi si confonde con i monumenti funebri, vive una famiglia: il padre tra Talmud e Torah passa tutto il tempo alla sinagoga e anche quando è in casa è sempre occupato tra studio e preghiere; la moglie Zvinia è completamente immersa nella routine domestica, accudisce e manda a scuola i tre bambini, prepara i pasti, attende il ritorno del marito e dei figli. Grassottella, evidentemente frustrata e trascurata anche, e soprattutto, sessualmente, ha come unica diversione durante le vuote giornate, brevi passeggiate nel cimitero, due chiacchiere col custode arabo; come unico "peccato" la sigaretta avidamente fumata. Ma una sera, spintasi un po' più in là sul limite del camposanto, vede una coppia fare l'amore su una pietra tombale. È uno shock. Dapprima scandalizzata, poi incuriosita e forse addirittura eccitata dalla visione, moltiplica le sue uscite.

Scoprirà così l'esistenza ai margini e agli antipodi del suo mondo, di un universo parallelo, una corte dei miracoli di prostitute, lenoni, senzatetto, da cui si sente irresistibilmente attratta, tant'è che invece di denunciare la cosa arriverà a tenere coi membri di questo submondo una specie di relazione fatta di domande, curiosità, piccole confessioni. Verrà accettata come amica, comincerà a fare piccoli favori, portare cibo e altro. A casa tutto come prima, marito assente, figli capricciosi, preghiere e frustrazione, una noia mortale. Anche i topi in cucina…
Letteralmente presa in mezzo tra questi due mondi, Zvinia sarà costretta a scegliere tra la trasgressione che la affascina e la normalità a cui si sente da sempre legata. E lo farà con un gesto irrevocabile, preparando due pentole di un minestrone, una della quali "speziata" col topicida. A chi è destinata? Un picco di regia che riscatta un andamento lento, ma pur sempre evocativo (anche visivamente) di un mondo dove la religione permea così a fondo la vita di tutti.  Un film strappa letteralmente l'applauso: uno dei finali aperti più incredibili e "tormentati" mai visti al cinema!


    Se Mountain è un geniale, etereo apologo sull'oltranzismo religioso, con Rabin The Last Day Amos Gitai film precedente in archivio ci fa entrare nella Storia con la S maiuscola. La sera del 4 Novembre 1995 Yitzhak Rabin, primo ministro di Israele, viene ucciso al termine di un comizio a Tel Aviv da un giovane di 25 anni, Yigal Amir, fanatico militante di estrema destra. La colpa di Rabin (che gli era valsa il Premio Nobel per la pace nel novembre precedente!) è aver firmato gli accordi di Oslo, dove per la prima volta la Palestina e Israele si riconoscevano reciprocamente come legittimi interlocutori. È il punto di non ritorno della tragica vicenda palestinese.

Dice Shimon Peres nell'intervista che apre il film: "se non fosse accaduto, probabilmente oggi avremmo la pace". Si precipita invece nel baratro: verranno le intifade, la nascita di Hamas, i bombardamenti, i muri, fino alle tragiche vicende di questi ultimi giorni. La tesi di Gitai è semplice e condivisibile: non si è trattato di un gesto isolato, ma della logica conclusione di una campagna di linciaggio morale che, condotta dalla destra del Likud (partito dell'attuale primo ministro Netanyahu), dall'estremismo religioso e dai coloni degli insediamenti, ha letteralmente armato la mano dell'assassino.
Con grande equilibrio tra spezzoni documentari e ricostruzione filmica (a volte difficilmente distinguibili gli uni dall'altra), Gitai ci mostra con lunghi piani sequenza (sua specialità, vedasi l'exploit di Ana Arabia) la campagna d'odio contro Rabin, raffigurato come nazista in uniforme, traditore della patria o addirittura, secondo un'eminente psichiatra, psicopatico e schizofrenico. Ci sono le riunioni dei capi religiosi oltranzisti che asseriscono, basandosi sul Talmud, il diritto-dovere per ogni buon ebreo di ucciderlo. E fa davvero accapponare la pelle la somiglianza tra la visione di questi estremisti e tutto l'armamentario di Fatwe e Jihad varie messe in campo dalla controparte araba: sarà che i due nemici non sono poi così diversi?

Il film nella seconda parte diventa poi un "court-movie", ricostruendo i lavori della commissione Shangar, prontamente istituita, la quale si preoccupa solo degli aspetti tecnici dell'assassinio (falle nella sicurezza, responsabilità dei vari addetti) senza indagare come avrebbe dovuto sui mandanti morali, ma l'angoscia di un destino di due popoli falsato (sembra) irrimediabilmente da quel tragico giorno resta, pregnante.

Giovanni Martini - ottobre 2015 - pubblicato su MCmagazine 38