Non è mancato certo il coraggio alle più recenti giurie del
Festival di Venezia. Aveva cominciato nel 2013 Bertolucci con il
Leone d'Oro al discutibile
Sacro GRA (Grande Raccordo Anulare), prima volta di un
documentario. Ha proseguito l'anno scorso quella presieduta dal
musicista francese Desplat premiando i
"tableaux-vivants" di Andersson (senz'altro con merito, ma definirli cinema è un po'
difficile per molti critici e soprattutto per il pubblico).
Quest'anno la giuria di Alfonso Cuaron ha assegnato, tra la sorpresa
generale, il massimo riconoscimento al lungometraggio di esordio del
venezuelano Lorenzo Vigas:
Desde allà (From Afar),
Da Lontano.
Sgombriamo subito il campo dai "rumors" di complotto sudamericano
(oltre a Cuaron i co-produttori sono i ben noti messicani Lorenzo
Arriaga di
Babel e
21 Grammi e Michel Franco, e il Premio Speciale
della Giuria va a
El Clan di Pablo Trapero). Al di là delle
coincidenze geografiche
Desde Allà è un film che pur rientrando
nella categoria "queer" è contemporaneamente qualcosa di
completamente diverso, spiazzante e sorprendente.
Sullo sfondo di una Caracas degradata, immersa in una nebbia
perenne, Armando è un meccanico dentista sui cinquanta, né bello né
brutto, economicamente agiato. Vive solo in un appartamento
insignificante, non ha moglie, né figli, né amici. Evidentemente
incapace di stabilire relazioni con gli altri, la sua ossessione
(oltre a quella di pedinare un ricco e anziano signore che
scopriremo essere suo padre) è adescare, letteralmente, facendo
balenare tra le dita fruscianti banconote, dei giovani sbandati. Li
porta a casa, li fa educatamente spogliare, si masturba a debita
distanza; tutto senza toccare, né soprattutto essere toccato: desde
allà, da lontano, appunto.
Tutto fila liscio finché abborda Elder, piccolo delinquente
disadattato e omofobo, padre in galera per un grave reato,
carrozziere al bisogno, il quale lungi dal farsi trattare da
manichino masturbatorio, lo insulta ripetutamente "maricon",
"checca", lo picchia, lo deruba, cerca in ogni modo
l'incontro-scontro fisico. Vuole forse punire in lui il padre che lo
ha abbandonato.
Ma quando Elder viene a sua volta selvaggiamente picchiato durante
uno dei suoi raid delinquenziali, qui è il turning point del film.
Armando se lo porta a casa, lo cura, gli fa appunto da padre
suscitando nel ragazzo un mare di emozioni incontrollabile. Si
confidano i reciproci abbandoni, sembrano uscire dai loro
solipsismi, instaurare una specie di relazione genitore-figlio.
Adesso è Elder che, forse rivelando una repressa omosessualità, "si
innamora" fino a volere il sesso vero, sincero (la scena di lui
monta in cima ad Armando e lo possiede è una delle più disturbanti
in ogni senso della pur copiosa cinematografia gay) e ad arrivare a
dargli una suprema allucinante prova d'amore.
Ma qui di nuovo tutto si capovolge, Armando non ci sta, lo denuncia,
se ne libera come di una presenza ingombrante.
Le domande si accavallano: Elder ha violato un tabù, una legge
morale, o forse no, forse era tutto architettato, studiato?
Desde Allà è un film estremamente sincero, sulla omosessualità (può
capitare a tutti?), sul ruolo del denaro e delle differenze di
classe nelle relazioni umane omo o etero che siano, sulla mancanza
di speranza di un paese, il Venezuela, inchiodato alla sua tragedia
politica e sociale.
Cinematograficamente c'è l'efficacissimo contrasto tra i primi piani
e gli sfondi sempre sfumati, nonché i dialoghi estremamente parchi e
i rumori di fondo che assumono quasi il ruolo di personaggi.
Attore feticcio di Pablo Larrain, Alfredo Castro è incredibile nel
tratteggiare il personaggio di questo uomo senza qualità dei
tropici. Impossibile non pensare all'assonanza con ruoli simili già
vissuti nei più cupi e disturbanti film del suo mentore come
Post Mortem e
Tony Manero.
Luis Silva, nella parte di Elder, buca lo schermo e a nostro parere
avrebbe meritato il Premio (e l'assegno!) Mastroianni.
Resta il dubbio, sollevato da molti, di una decisione troppo
cinefila, elitaria, che finirebbe per allontanare il pubblico dal
cinema. Non siamo d'accordo, e poi Venezia si chiama Mostra di Arte
Cinematografica!
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