L’unico
film americano in concorso è firmato dal giovane regista messicano
A. Gonzales Inarritu, del quale nella passata edizione del festival
era stato molto apprezzato l’episodio di
11 Settembre per la drammatica essenzialità delle immagini:
la caduta libera dei corpi dalle Twin Towers con totale assenza di
colonna sonora. Del tutto opposta appare la scelta stilistica di questo
film, che sia per la costruzione narrativa a mosaico (incastro), peraltro
già presente nel suo primo film Amores perros, che per le situazioni
evocate e la drammaticità dei temi trattati si può sicuramente ascrivere
all’estetica neo-barocca.>>
Raccontarne la storia sarebbe un tradimento nei confronti delle
intenzioni dell’autore, che in conferenza stampa ha dichiarato che il
percorso del racconto è un dono che egli fa allo spettatore che deve
partecipare attivamente ricomponendo i vari tasselli del mosaico in
cui la storia è stata smembrata. Basti dire che il film ruota attorno
ai destini incrociati di tre personaggi: Paul (Sean Penn) un
professore di matematica gravemente malato di cuore, Cristina (Naomi
Watts) segnata da un grave lutto recente e Jack (Benicio Del Toro)
ex-truffatore nonché fanatico religioso.
Come in
Amores perros
Gonzales Inarritu
continua a riflettere sulla casualità del destino,
sulle regole inafferrabili e nello stesso tempo fluide del tempo e in
particolare sul concetto di perdita. Perdita di cosa? “della fede,
dell’innocenza, degli amici, dei genitori, della verginità, dei
capelli, dei denti e infine della vita. E’ questo che ci succede.
Quando moriamo se ne vanno 21 grammi di peso, che forse è il peso
dell’anima. L’ho letto in un libro francese, metafora stupenda.”
Basterebbe questa dichiarazione per capire in quale terreno melmoso il
regista e il suo fedele sceneggiatore Guillermo Arriaga si siano
inoltrati. E in effetti i risultati non sono del tutto all’altezza
delle intenzioni. L’eccessiva drammaticità delle situazioni
esistenziali dei personaggi a volte risulta stucchevole, rasentando
talora il ridicolo (vedi la sequenza in cui Penn, nel pieno di un
arrapamento amoroso rivela alla smaniosa Watts di avere il cuore di
suo marito morto). Fortunatamente i 21 grammi del titolo “non vengono
rappresentati visivamente” e il film punta soprattutto sull’evoluzione
interiore dei personaggi e sulla loro capacità o meno di superare le
perdite, recuperando se stessi. Personaggi interpretati magistralmente
dagli attori protagonisti e da altri minori come Charlotte Gainsbourg
e Clea Duvall e ripresi con grande maestria dall’autore.
Sicuramente l’aspetto più interessante del film riguarda la struttura
narrativa a mosaico che mescola i diversi piani temporali e racconta
gli stessi avvenimenti modificando il punto di vista: “la
frammentazione del racconto vuole riprodurre la frammentazione del
reale così come noi lo percepiamo, come se i personaggi ci
raccontassero via via frammenti della loro vita, come succede quando
si chiacchiera con gli amici. Solo alla fine del film tutte le tessere
del mosaico si ricompongono e ognuna trova la sua collocazione. La
struttura esalta la tensione drammatica: togliendo uno dei tasselli
l’architettura crollerebbe.” dichiara il regista e sicuramente in
questo senso è ammirevole il lavoro di sceneggiatura che sta dietro il
film e che ha richiesto ben tre anni di lavoro.
Ma se questo comporta sicuramente una sfida accattivante per lo
spettatore che alla fine del film deve ricostruirsi il suo percorso
narrativo, è proprio giusto che ogni tassello trovi la sua esatta
collocazione o non sarebbe stato più stimolante, dati anche i temi
trattati, che la soluzione del gioco non fosse così univoca, ma
lasciasse spazio all’ambiguità e ad un più ampio spettro di
possibilità combinatorie, come ha fatto magistralmente Lynch in uno
dei suoi film più belli
Mulholland Drive?.
|