Tony Manero
Pablo Larrain -
Cile/ Brasile
2008
- 1h 38'
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miglior film - Festival di TORINO |
Si
fa chiamare Tony Manero, come John Travolta ne
La febbre del sabato sera,
ma non gli somiglia affatto. Ha passato i 50, non è bello, non è atletico,
balla da cani. E non vive a New York ma a Santiago, nel 1978, in piena
dittatura. Ecco perché la sua unica speranza sono i concorsi per sosia con
cui nel Cile di Pinochet altri emarginati come lui cercano uno straccio di
identità e insieme un modo per campare. Ma Raul non è solo un disoccupato,
fissato con quel film che vede e rivede in perfetta solitudine nei più
pidocchiosi locali della città. È anche un folle pronto a tutto, ma
proprio tutto, per raggiungere il suo scopo.
Ci voleva un cileno nato nel 1976, tre anni dopo il golpe che abbatté
Allende, per trasformare il più famoso musical degli anni 70 in un horror
sociale, ovvero una strepitosa metafora della dittatura e dei rapporti fra
il centro e la periferia dell'impero. Condotta senza mai salire in
cattedra, ma con un senso così solido (e sordido) del quotidiano che ogni
dettaglio parla. Mangiare, ballare, arredare la sua pseudo-discoteca,
uccidere. Per Raul/Tony Manero non fa differenza. Dietro questa piccola
storia ignobile c'è una grande Storia, ancora più orribile, che non è
ancora finita. Pablo Larrain è solo al suo secondo film. Con questo ha
vinto a Torino. Aspettiamo fin d'ora il prossimo.
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Fabio Ferzetti - Il
Messaggero |
La
dittatura di Pinochet vista con gli occhi dell'uomo qualunque. Raùl
Peralta è un maschio senza qualità e con un unico mito, Tony Manero. Un
corpo sciatto, vestiti sporchi, pochissime parole e una faccia priva di
espressioni, quando qualcuno domanda a Raùl cosa fa nella vita, risponde
sempre «questo». Che poi sarebbe l'imitatore di Manero nella sua
performance da Febbre del sabato sera . E basta. Raùl se ne frega di tutto
ciò che lo circonda, scopa le donne che gli capitano a tiro, campa in una
periferia polverosa di Santiago alle spalle di una barista in età nel cui
retrobottega prova interminabilmente i passi del suo eroe. Della dittatura
Raùl se ne sbatte, quando può ne sfrutta i risvolti positivi, come quelli
di spogliare dei propri averi i cadaveri delle vittime della polizia. La
vita polverosa di questo sciacallo si illumina solo per un istante quando
un programma televisivo annuncia una gara a premi per imitatori di Tony
Manero. Raùl si fa avanti a colpi bassi, arriva in pole position e poi,
sconfitto, se ne va, incazzato e indifferente al mondo come e più di
prima. Il giovane regista cileno Pablo Larraìn (alla sua opera seconda,
dopo Fuga del 2006) sceglie di raccontare l'orrore di una dittatura
piazzandosi in un angolo oscuro di periferia umana. Una scelta radicale,
per vedere cosa serve a una dittatura per radicarsi ai più bassi livelli.
Basta un anestetico mediatico come
La febbre del sabato sera
(lo stesso, del resto, che dalle parti nostre segnò l'inizio su schermo
della fine dei Settanta e il primo barlume degli Ottanta) e un eroe come
Tony Manero, figo, acchiappone e sufficientemente buzzurro da essere alla
portata di qualsiasi imitatore. Alfredo Castro (magnifico interprete di
Raùl, con una faccia assai più alpaciniana che travoltina) ripropone
magistralmente il ritratto di quest'uomo fuori da ogni classe, né
proletario, né dissidente, né pinochettista. Rappresentante piuttosto di
una sottospecie priva di riferimenti sociali, pronta a combattere solo per
la sopravvivenza. Nel destino bieco di Raùl quello dell'intero continente
latinoamericano che per un ventennio ha respirato sottosviluppo e
abbandono, inzeppandosi il cervello di ideali surrogati.
Con un 16mm un po' sgranato dal riversamento in 35 e un uso della
cinepresa alla
Dardenne, il cinema di Larrain non narra, ma si fa
carne stessa del racconto, si dimentica di sé per servire interamente il
tempo e lo spazio della realtà. Non osserva, ma vive, trasuda sporcizia,
sputa sul selciato il sangue dei torturati, e mima un riscatto nel sogno
importato di un balletto di periferia. Con il vestito bianco e la camicia
nera.
Bravo Lorraìn che in un'opera piccola ha inferto un altro colpo mortale al
passato più oscuro del suo paese. |
Roberta Ronconi -
Liberazione |
promo |
Nel Cile del
colpo di stato di Pinochet Raúl, sedicente ballerino vive in una
Santiago squallida e impaurita, inebriato dal mito di John
Travolta. È disposto a tutto per servire il suo sogno, anche a
uccidere e commettere infamie... Un racconto di sconcertante
drammaticità in cui malattia mentale e cronaca nera si fanno
portavoce di una società che ha messo in ginocchio ogni valore e
si anestetizza davanti al trash televisivo. Duro, ironico,
molesto: memorabile. |