Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza
(
A Pigeon Sat On A Branch Reflecting On Existence)
Roy Andersson - Svezia/Germania/Norvegia/Francia 2014 - 1h 41'

Leone d'oro - VENEZIA 71

    La graffiante ed esilarante commedia nera di Roy Andersson A pigeon sat on a branch reflecting on existence si è aggiudicata il Leone d'Oro di questa 71 edizione della Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia.
Un premio in qualche modo controcorrente, che ha voluto valorizzare il linguaggio originale e antinarrativo di un regista, che guarda con occhio stralunato la realtà e la descrive in un affresco impietoso composto da 39 tableau vivant.
Dopo un debutto alla regia negli anni '70, Andersson aveva abbandonato il cinema per dedicarsi ad attività commerciali. Nel 2000 fece uno spettacolare rientro con il primo episodio di una trilogia “sull'umanità”: Song from the Second Floor, cui fece seguito nel 2007
You, the Living e che si conclude con questo: A pigeon....
Il piccione del titolo compare solo all'inizio del film, imbalsamato in una teca di un museo e ammirato da due personaggi stralunati col volto imbiancato. Viene messa in scena, con forte autoironia, la prospettiva adottata dall'autore: lo “sguardo a volo d'uccello” di Bruegel, ispiratore dichiarato dell'opera, a giustificazione del titolo del film. La fissità attonita dei personaggi e i colori beige slavati degli arredi preludono alle successive scelte stilistiche.
Con una cura meticolosa per i dettagli, Andersson costruisce una serie di tableau vivant: 39 quadri girati in piano sequenza, legati tra loro da raccordi prevalentemente sonori, dove la messinscena gioca sull'attesa dello spettatore, per sorprenderlo.
Si parte in qualche modo dalla fine: i primi tre quadri parlano della morte, o meglio di come gli uomini si comportano quando si trovano in prossimità della morte (la moglie che canticchia in cucina mentre il marito muore d'infarto aprendo una bottiglia di vino, la vecchietta moribonda che non molla la borsetta dei gioielli ai figli che cercano di strappargliela, la cameriera del bar che, dopo la morte di un cliente, si preoccupa per il pasto già pagato e non consumato), successivamente Andersson ricostruisce un mondo di “morti viventi”, colti al volo e fissati dalla cinepresa in un affresco, in cui commedia e tragedia, grottesco e incubo risultano perfettamente mixati, a rappresentare la “personale visione del cinema” dell'autore.
Seguendo le peregrinazioni di due tristissimi venditori di scherzi (denti da vampiro, sacchetti che ridono, maschere con un dente solo), che fungono da trait d'union tra le varie storie, incontreremo la grassa insegnante di flamenco che insidia il giovane allievo, la taverna di Lotte la Zoppa, il re Carlo XII in partenza per la guerra che si ferma alla taverna per reclutare il bel cameriere come scudiero e tutta una serie di altri personaggi di un mondo che pare coperto di gesso.
Quello di Andersson è un cinema dell'evidenza, agghiacciante, implacabile, ma irresistibilmente comico, dove la fissità degli sguardi e l'apparente semplicità della scena creano una “tensione tra il banale e l'essenziale, tra il comico e il tragico”, per usare le parole del regista, il cui lavoro consiste nel curare in modo maniacale ogni dettaglio nella composizione delle inquadrature e delle scene e nei raccordi tra di esse, con la consapevolezza che basta un minimo particolare: un gesto, uno sguardo, un suono, per dire tantissimo. È un cinema che non commenta, si limita a mostrare, si gioca tutto all'interno dell'inquadratura: tutto ciò che vediamo è preciso e necessario, frutto di un'operazione di progressiva eliminazione del superfluo, per mostrare il poco che dice tutto.

Cristina Menegolli - ottobre 2014 - pubblicato su MCmagazine 36

 



promo

Si parte da tre episodi tanto mortiferi quanto divertenti per orchestrare 39 sketch (piani sequenza!), scene di vita non-quotidiana, inserite in una magnifica cornice coreografica d'espressionismo astratto con rimandi a Hopper e Brueghel il Vecchio (è lui l'autore del piccione). Personaggi fissi sono due venditori falliti di scherzi di Carnevale, ma sono davvero indimenticabili la grassa insegnante di flamenco e Lotte la Zoppa. Alla sua taverna fa sosta anche l’esercito di Carlo XII… Un teatro-farsa della disperazione, seguendo Beckett, che diceva che niente è più comico dell'infelicità. Uno spiazzante match tragedia-risate, un nonsense geniale!

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 LUX  marzo 2015

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