Forse avrebbe
dovuto essere L’odio
(Mathieu Kassovitz, 1995) il film d’apertura di questa edizione 2005.
L’esplosione parigina di un meticciato contraddittorio vira
l’attualità del nero metropolitano ad una etno-fotografia violenta,
scarnificata da qualsiasi mitizzazione culturale. Ma per il cinefilo
retrò il lato oscuro della città si identifica col
noir,
nella policromia delle sue accezioni classiche e postmoderne. Quello
francese di Chabrol e Melville, quello, archetipo, made in USA dove
rapine, omicidi, lotte tra gang perdono le coordinate del crimine
perfetto, dove il crimine stesso e la morale (della legge e dell’onore)
stringono in una drammatica morsa esistenziale buoni e cattivi, uomini
e donne. Lo schermo del noir è il luogo del sospetto e dell’inquietudine,
il regno di sinuose dark lady, l’approdo ultimo di ogni detective.
Ma è anche lo spazio principe per città irte di vicoli bui, per scontri
nascosti dietro impeccabili palazzi o esplicitati in squallidi locali,
per vite perdute nella nebbia o nella pioggia battente, per percorsi
umani senza speranza, per passioni cariche di erotismo e valigette
dal contenuto devastante. La zona franca del noir apre nell’immaginario
collettivo parentesi di personalissima lettura e ogni situazione citata
richiama “propri” film canonici (per noi, su tutti, Le
catene della colpa
e
Un bacio e una pistola),
ma per un festival mirato alla rappresentazione dello spazio urbano
quella de
Il terzo uomo
(Carol Reed, 1949) diventa una scelta obbligata: la Vienna cupa e
notturna che avvolge Harry Lime è lo specchio (scuro) di un’Europa
che sente su di se l’onda lunga della guerra, che fatica a ritrovarsi
tra le rovine, urbane ed esistenziali, di un conflitto che ha lacerato,
insanabilmente secondo Green, Reed (e Welles), la nostra civiltà morale.
Seguire l’evoluzione del noir può portare a rischiosi compromessi
stilistici (Il
lungo addio,
Velluto blu,
Rischiose abitudini,
Darkman,
Pulp Fiction,
Mulholland Drive)
e l’accezione di un “lato oscuro” ineluttabile apre la porta ai deformanti
conflitti col proprio altre ego (Faust,
Il
ritratto di Dorian Gray,
Il
dottor Jekyll e Mr. Hyde),
crea un ponte di fantascientifica metafora tra Il
pianeta proibito,
Blade Runner,
Pitch Black
e la saga di
Star Wars;
il rischio è quello di perdere le coordinante urbane, di permettere
che la mostruosità del male lasci lo spazio dell’inconscio e si concretizzi
in reali incubi digrignanti… Non è quello che accade a Jack e David
quando si inoltrano nella brughiera inglese (Un
lupo mannaro americano a Londra,
1981)? John Landis, nel riadattare il dramma dell’uomo lupo, si rifà
alle macabre messinscena dell’horror contemporaneo (Zombi,
di Romero, è di soli tre anni prima, il suo videoclip, Thriller
per Michael Jackson è datato 1983), ma risulta permeato da un’originalissima
ironia, da uno sfrontato giovanilismo anni ’80, da un sapore metalinguistico
che gioca su cinici dialoghi ("hai mai parlato ad un cadavere?...
è una cosa schifosa") e azzeccati contrappunti sonori (Bad
Moon Rising).
A questo punto diventerebbe imprescindibile richiamare un titolo come
La
notte dei morti viventi
e ripercorrere la filmografia gotica e notturna
di Corman o la tipologia schermica che ha caratterizzato il personaggio
di Dracula-Nosferatu, ma l’allontanarsi dal centro urbano o l’addentrarsi
in epoche (e magioni) remote non si confà al nostro percorso. Così
ci tratteniamo anche dall’immergerci nelle cupe trame aliene che,
nella notte di
Dark
City
(Alex Proyas, 1998), avvolgono gli umani in
un sonno profondo e alterano, deformano, modificano forme e spazi
della città. Il buio della metropoli non ha certo bisogno della mostruosità
dell’horror e di malvagie forze estranee per concretizzare le sue
insidie: apriamo le pagine dei comics-book e “ripassiamo” le trasposizioni
cinematografiche più (Batman
e
Spider-Man)
o meno (Sin
City)
riuscite, oppure supponiamo di imbatterci nelle violente scorribande
che contrappuntano
Distretto
13
di Carpenter,
I guerrieri della notte
e la favola rock Strade
di fuoco
(entrambi di Walter Hill, 1979 e 1984). O vogliamo prendere il taxi
di Travis Bickle proprio nella sua notte “purificatrice” (Taxi
Driver,
1976) o farci un giro nel metrò parigino mentre è in atto la spasmodica
caccia all’uomo di Subway
(Luc Besson, 1986)?
O, ancora, chiedete un parere, sui rischi di una notte improvvisata, a Ed
Okin/Jeff Goldblum che, tornato a casa in un momento poco opportuno, si
ritrova a vagabondare in una Los Angeles emblematicamente inaffidabile (Tutto
in una notte,
sempre Landis – 1985) o a Paul Hackett/Griffin Dunne, anch’egli sperduto
nei meandri della notte metropolitana (Fuori
orario,
Martin Scorsese - 1985), teso a raggiungere l’alba come unica speranza di
salvezza.
Abbandonarsi al fascino della notte corrisponde anche a penetrare in un
cono d’ombra in cui il volto malvagio del crimine travalica l’ambiguità
del noir per prendere assoluto possesso del vivere: è il caso de
Il dottor Mabuse,
delle grandi pagine dell’espressionismo tedesco, di
M, il mostro di Dusseldorf,
della shlemil-story di mr. Kleinmann, il pavido impiegato di
Ombre e nebbia
(1991) che carica le abituali frustrazioni alleniane della cupa coscienza
di un’umanità ostile al suo prossimo, predisposta al sospetto, alla
violenza e all’intolleranza.
D’altronde l’angoscia per il crimine in agguato, per il (serial) killer
pronto a colpire l’innocenza del vivere, non può che trovare il suo spazio
principe nella città, il suo tempo topico nel buio della notte. Ancor
prima del monito incombente di Lang, sir Alfred Hitchcock aveva trovato
nella nebbia di Londra la cornice ideale per il misterioso assassino del
suo
The Lodger
(1926): il volto estraniato di Ivor Novello avvolto nella sua sciarpa come
nel suo mistero, la teatralità innaturale della recitazione del muto, il
rintronare del soffitto sotto i passi ponderosi del solitario inquilino,
le macabre scoperte della polizia negli angoli bui della città,
l’esasperazione della folla e il tentativo di linciaggio… Momenti
memorabili per il cinema di un maestro e per la definizione di un genere
cinematografico: il nero della malvagità e l’oscurità della notte, il
senso di isolamento del singolo e l’apparente accoglienza della metropoli.
La fiamma del peccato, Ombre e nebbia, Mentre la città
dorme, Lo specchio scuro, Scorciatoia per l’inferno,
I trafficanti della notte,
L'infernale Quinlan,
Giungla
d’asfalto: titoli di film, ma anche titoli possibili per i tanti
capitoli di un affascinante romanzo su pellicola chiamato noir.
il noir |
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