Diversi
sono i motivi per cui
Il terzo uomo di
Carol Reed è passato alla storia. Innanzi tutto la partecipazione
straordinaria di Orson Welles. Harry Lime è il personaggio chiave,
su cui gira l'intera storia ma che compare solo a film inoltrato
grazie
a una soluzione registica magistrale (la famosa scena della soglia).
Orson Welles,
raccontano le cronache, dopo il Macbeth
passò quattro anni alla ricerca di soldi per finanziare l'Othello;
per questo motivo prestò il suo genio in diversi film come attore.
Tra questi ci fu
Il
terzo uomo.
I critici e gli storici più maligni hanno sempre sospettato l'ingerenza
di una personalità così carismatica nelle soluzioni di regia. Ma lo
stesso Welles ammette di aver collaborato solo alla stesura dei dialoghi
della sua parte e di aver suggerito la scena finale nella quale Lime
morente, cerca di fuggire dalle fogne di Vienna aggrappandosi alla
grata di un tombino. Sua è pure la famosissima battuta, recitata sotto
la ruota panoramica di Vienna, sugli Svizzeri e gli orologi a cucù:
«In Italia per trenta anni hanno avuto guerra, terrore, omicidio,
strage e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento.
In Svizzera, con cinquecento anni di amore fraterno, democrazia e
pace cos'hanno prodotto? L'orologio a cucù». Indubbio rimane il
fatto che il cameo di Welles sia rimasto fortemente impresso nell'immaginario
collettivo e abbia garantito, contro l'accoglienza "glaciale"
della critica il favore del pubblico. Ma
Il
terzo uomo
segna un altro dato significativo: la 'perfect collaboration' tra
Carol Reed e Graham Greene che, dopo il successo di idolo infranto,
si ritrovano a Vienna per lavorare al nuovo soggetto. A differenza
della prima collaborazione, che nasceva da un lavoro precedente di
Greene,
Il
terzo uomo
viene costruito ad hoc per la versione cinematografica e solo successivamente
prende corpo in un romanzo breve dello stesso Greene. Per rendere
ragione, invero, della genesi del film bisogna riportare anche la
versione di Welles il quale sostiene che la vera anima del film l'abbia
suggerita Alex Korda, il produttore, che, per aver in prestito Joseph
Cotten e Alida Valli, dovette cedere la distribuzione americana al
solerte David O. Selznick il quale guadagnò non poco dall'operazione.
L'altro dato storico riguarda la musica suonata dalla ormai leggendaria
cetra tirolese di Anton Karas, musicista incontrato per caso da Reed
nelle vie di Vienna. Il motivetto, che ricorda a
posteriori gli andantini dei film di Fellini, ma che trae suggestioni
dal periodo tedesco di Kurt Weil, ebbe un enorme successo e garantì
anch'esso il successo del film. Ma forse tutti questi sono motivi
"accidentali", perché
Il
terzo uomo
rimane, seguendo la
lucidissima analisi di Mark Ferro, apparsa in un famoso saggio dal
titolo "Un conflitto nel film Il terzo uomo", una
tragedia politica
scritta nello spirito della guerra fredda. L'analisi comparata del
romanzo e del film porta il critico a sostenere la tesi di un conflitto
ideologico tra Greene e Reed: il primo voleva proporre un divertissement
intelligente dove fossero rappresentati i caratteri fondamentali della
sua arte (ambiguità, ironia, umanesimo), il secondo voleva, come ha
fatto, politicizzare e ideologizzare il testo
al fine di rappresentare una visione sociale tra bene e male, tra
resistenza e debolezza. Basta in questo senso confrontare il finale
del film con quello del libro per saggiare le differenze. Ma questa
polemica ormai lascia il tempo che trova, rimane alla storia. Ci sono
invece altri motivi che ci portano a sostenere l'importanza attuale
del film di Carol Reed. Di quella Vienna da poco liberata e divisa
in quattro zone gestite da americani, russi, francesi e inglesi ormai
non ne rimane più traccia, così come del traffico di penicillina,
ma di sicuro, riecheggia ancora e drammaticamente il monito subliminale
di Carol Reed che nel caratterizzare i personaggi secondo le logiche
del buono e cattivo fa - indirettamente? - risaltare quella più ambigua
e cinica rappresentata dal Lime di Orson Welles. Alla fine tra il
caporale inglese scorbutico, l'americano "Rollo" Cotten,
ingenuo e pericoloso per la sua stessa ingenuità, e l'antigoniana
Anna di Alida Valli, vince il diabolico Welles e il suo discorso,
recitato in cima alla ruota panoramica, sul valore della vita umana
di fronte alle sirene dei facili guadagni.
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