Quando vedrete il giudice Greenfield…
Inter o
Milan, Bergman o Fellini, Grazzini o Kezich? Ci sono prese di
posizione a largo raggio, altre generazionali. Sulle pagine del
Corriere della Sera e della Repubblica Grazzini e Kezich parlavano
dello stesso cinema, degli stessi film, ma il tono, lo stile erano
diversi. Più accademico, strutturato tra sinossi e distaccata analisi
"artistica" l'uno, più partecipe culturalmente del contesto e del
senso del tempo, in cui un'opera nasce e con cui si confronta,
l'altro.
E poi Tullio Kezich aveva il dono della sintesi (andate a consultarvi
i volumi del Millefilm), l'eclettismo di un uomo cinematografico a
tutto tondo: scrittore (buon ultimo Noi che abbiamo fatto la dolce
vita), "riduttore" (da Il fu Mattia Pascal a La coscenza di Zeno) ed
autore teatrale (sulla sua Trieste: Il Vittoriale degli italiani e
L'americano di San Giacomo); per il cinema, anche produttore (I
basilischi), sceneggiatore (in abbinata con Philip Roth La leggenda
del Santo Bevitore) nonché attore (Il posto, sempre del suo amico
Olmi). E, come se non bastasse, aveva l'amore dichiarato per il
western...
Il titolo di questo “coccodrillo” è preso, pari pari, da quello di un
articolo apparso su La Repubblica il 27 novembre 1980. Parlando di
Ombre Rosse Tullio Kezich citava alcune frasi memorabili, come,
appunto, le ultime parole del baro Hatfield: “Quando vedrete il
giudice Greenfield, ditegli di suo figlio…”. Kezich diceva che ne
avrebbero potuto trarre il titolo per una sua autobiografia, ora ci
permettiamo di usarlo per un rispettoso ricordo.
ezio leoni |
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Sono quattro i titoli che, oltre al
maxi-documentario di Michael Moore (Capitalism: A Love Story)
meritavano un riconoscimento dalla giuria della 66° Mostra del Cinema:
Lebanon,
Women
Without Men,
Life During Wartime
e
Lourdes. Di queste purtroppo solo le prime tre alla fine
hanno trovato posto nella premiazione (rispettivamente Leone d’oro,
Leone d’argento per la regia ed Osella per la miglior
sceneggiatura), ma non ci si può troppo lamentare, ben di peggio
era successo negli anni scorsi. Piuttosto fa sorridere il premio
Mastroianni per la miglior attrice emergente a Jasmine Trinca (Il
grande sogno) che vanta quasi dieci anni di carriere alle spalle
(l’esordio era stato con
La stanza del figlio, nel 2001) e c’è
da domandarsi perché un film come
Soul Kitchen, simpatico fin
che si vuole, ma certo compromesso con un'ilarità talvolta troppo
scontata e accattivante, sia stato preferito a
Lourdes, che
tutti aveva impressionato per il rigore formale e l’approccio di
rispettosa perplessità di fronte al mistero dei miracoli.
In ogni caso le opere in concorso hanno per lo più tutte ben
figurato; ha forse deluso
The Road,
non ha convinto tutti la doppia presenza di
Herzog, ma
una sorprese davvero piacevole è stata il filippino
Lola, originale nella struttura narrativa, sorprendente
nell'impatto emotivo. E di tutto rispetto stavolta anche la presenza
italiana: se il debutto di Capotondi con
La doppia ora è stata unanimemente apprezzato, la magniloquenza retorica di
Baaria ha acceso
un'incongrua verve censoria nel ministro Bondi...
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