Osella per la migliore sceneggiatura
In
un romanzo di Paul Auster Viaggi nello scriptorium
un vecchio scrittore viene visitato dai personaggi dei suoi romanzi.
In tal modo l’autore si interroga sui rapporti tra uno scrittore e i
personaggi a cui ha dato vita con la sua penna.
Attraverso le vicende delle tre sorelle Jordan, Solondz ci dà, ancora
una volta, un ritratto spietatamente lucido della società americana,
con i suoi bei paesaggi, con le sue case eleganti e plastificate, dove
si muovono persone incapaci di fare i conti con il proprio passato e
in una condizione di totale straniamento, che le porta a vivere in un
mondo finto, attraversato da fantasmi ossessivi, con i quali
dialogano.
Un apporto importante è sicuramente dato dalla scenografia e dalla fotografia. La scenografa Roshelle Berliner ha costruito un mondo di forme geometriche e colori assoluti, al confine tra realtà e graphic novel, cui il bravissimo direttore della fotografia Ed Lachman, attraverso l’uso della sofisticata tecnologia digitale RED, ha conferito una piattezza visiva di consistenza quasi plastica, che si adatta perfettamente al mondo di fantasia in cui vivono i personaggi. Non a caso il film è ambientato in Florida (anche se girato prevalentemente a Portorico), che per Solondz è la quintessenza della “dittatura del Magazine Style”.
Senza dubbio la riflessione di Solondz, uno dei registi più intelligenti, rigorosi, graffianti del cinema indipendente americano, ruota attorno all’interrogativo di come noi ci adattiamo ai cambiamenti del mondo che ci circonda e attorno ad esso ha costruito questa black comedy, che sa farci ridere, ma soprattutto riflettere su temi importanti, quale quello, più volte ribadito, del perdono, senza però la pretesa di dare delle risposte, perché, come suggerisce lui stesso ai suoi personaggi, in fin dei conti cambiati solo in apparenza, la realtà non va dimenticata o perdonata, ma va guardata coraggiosamente in faccia.
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Cristina Menegolli - MCmagazine 27 (ottobre 2009) |
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L'incipit del film, perfettamente speculare a quello di Happiness (1998). Attraverso le vicende delle tre sorelle Jordan, Solondz ci dà, ancora una volta, un ritratto spietatamente lucido della società americana, con i suoi bei paesaggi, con le sue case eleganti e plastificate, dove si muovono persone incapaci di fare i conti con il proprio passato e in una condizione di totale straniamento, che le porta a vivere in un mondo finto, attraversato da fantasmi ossessivi, con i quali dialogano. Ma lo sguardo dell’autore su questa realtà desolante non è mai cupo, in quanto è l’ironia la cifra stilistica di Solondz, uno dei registi più intelligenti, rigorosi, graffianti del cinema indipendente americano. Perdona e dimentica ruota attorno all’interrogativo di come noi ci adattiamo ai cambiamenti del mondo che ci circonda e attorno ad esso si costruisce questa black comedy, che sa farci ridere, ma soprattutto riflettere ... |
LUX
- aprile 2010 |