Ci
sono almeno due interrogativi che lo spettatore si pone al termine della
visione dell'ultimo film di Solondz
, regista “cattivo”, già apprezzato per le
sue rappresentazioni grottesche del puritanesimo americano in
Fuga dalla scuola media
e in
Happiness.
Qual è il rapporto tra il titolo del film e la storia che il film narra?
Perché la giovane protagonista è interpretata da otto attrici diverse?
Palindromo è una parola che letta in senso inverso mantiene immutato il
significato, dal greco palindromos “che corre all'indietro”.
La protagonista si chiama Aviva, quindi il suo nome è palindromo, è una
ragazza di 12 anni che vuole diventare mamma, fa di tutto perché ciò avvenga,
ma viene ostacolata dai genitori (una bravissima Ellen Barkin nella parte
della madre) che, con discorsi e motivazioni molto democratiche e
politicamente corrette la costringono ad abortire. Allora scappa di casa e
dopo una serie di vicissitudini e incontri non proprio piacevoli, ma
finalizzati ad ottenere il suo scopo, finirà presso una famiglia di
“benefattori”, che, spinti da ardore religioso e antiabortista, raccolgono
giovani con problemi di ogni tipo. Presso questa nuova famiglia Aviva si
salverà dalla strada, ma non troverà la felicità e alla fine farà ritorno alla
sua famiglia d'origine.
Quello che il film ci racconta è quindi un viaggio di andata e ritorno, il
viaggio di un'adolescente alla ricerca di qualcosa, un racconto di formazione
dunque? La storia è quella, ma Solondz ne sovverte lo schema facendo
rimbalzare la povera ragazza da un ambiente intellettuale e una famiglia
“perfetta”, ma che “uccide” in un modo, ad un ambiente bigotto e ad una nuova
famiglia allargata che “uccide” in un altro modo. O meglio, per usare le parole
del regista, “tra una famiglia che non lascia scegliere ed un'altra per la
quale ogni scelta è gia stata operata”. Come in un palindromo, il mondo si
racchiude in se stesso, immutato e immutabile. E' tutto un gioco di specchi.
Aviva non realizzerà mai il suo sogno di maternità, ma il suo viaggio ha
contribuito a cambiarla? Certo ai nostri occhi Aviva cambia continuamente
passando dalle fattezze di una giovane di colore a quelle di un'adolescente
dai tratti tipicamente anglosassoni e via via attraverso i corpi
complessivamente di due donne (Jennifer Jason Leigh e la immensa e
sorprendente Sharon Wilkins), quattro ragazze (13-14 anni), un ragazzo di 12
anni e una bambina di 6 anni, ma è avvenuto in lei qualche cambiamento?
L'impressione che si ha è che il regista abbia voluto rimarcare, attraverso
l'effetto cumulativo prodotto da tale stratagemma, proprio il contrario di ciò
che i nostri occhi vedono e cioè l'impossibilità di cambiare, di evolversi.
Siamo, in un certo senso, naturalmente “palindromici”, impermeabili al
cambiamento, benché paradossalmente in perenne mutamento? È un susseguirsi di interrogativi
ciò che viene posto allo spettatore da
quest'opera che a volte appare irritante, a volte ironica, a volte troppo
macchinosa e intellettualistica... Meglio
seguire il consiglio di Solondz: “ anche se non sei sicuro di capire il
significato di tutto (non sono sicuro di averlo capito nemmeno io), lasciati
andare.”
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