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Per
stabilire quanto una stagione cinematografica sia "grassa" occorre
attendere giugno, ma l'impressione, dopo la "magra" di Venezia,
era che la media d'essai (a questa intendiamo riferirci, non
solo ai risultati del botteghino) non sarebbe stata così consolante.
Certo è che, invece, con i residui di Cannes il periodo pre-natalizio
si è impennato: al
di là di
Viaggio a Kandahar,
che ha trovato un sussulto di significatività nel dramma della
situazione afgana, dalla croisette sono giunti titoli come
No
Man's Land, L'uomo
che non c'era e soprattutto
lo straordinario Moulin
Rouge
che ha inebriato lo schermo con una effervescenza figurativa
sensazionale. Se poi, mega-succcesso di
Harry
Potter
a parte, consideriamo il contributo "natalizio" di
La vera storia di Jack lo Squartatore
(nessuno a Venezia si aspettava che un film così cupo funzionasse
sotto le feste..),
Spy Game
e
Ocean's Eleven,
al giro di boa di fine d'anno la velocità di crociera è qualitativamente
elevata e calcolando che devono ancora arrivare i venti forti
di Il
Signore degli Anelli e
Guerre Stellari...
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altre segnalazioni
(citazioni):
A tempo pieno
Alla rivoluzione sulla due cavalli
L'apparenza inganna
Bandits
E morì con un felafel in mano
Jalla,
Jalla!
Il nostro Natale
Santa Maradona
Serendipity
I vestiti nuovi dell'imperatore |
didattica
del cinema
montaggio
& piano sequenza
Nella
seconda quindicina di novembre si è svolto a Montegrotto (Padova) il seminario sul
montaggio
nell'ambito del Piano
nazionale per la promozione della didattica del linguaggio
cinematografico e audiovisivo nella scuola, organizzato dall'IRRE ed
indirizzato agli insegnanti del Veneto (dalla materna alle
superiori) particolarmente
interessati e/o attivi nella didattica del cinema. Ad un pool di
docenti-formatori si sono affiancati nomi di spicco quali
Roberto Perpignani (montatore di Bertolucci, dei Taviani e de Il
postino) e
Diego Cassani, autore di un prezioso manuale sul montaggio
cinematografico (UTET).
Tra i vari interventi abbiamo scelto quello della
prof.sa Cristina Menegolli,
un fondamentale excursus, ricco di citazioni e riferimenti,
attraverso l'evolversi dell'approccio autoriale a quella "negazione
del montaggio" costituita dal piano
sequenza: sarà l'inserto
speciale del nostro prossimo numero.
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In molti l'hanno ricordato come
"il beatle più in ombra", lontano sia dalla simpatia della mascotte
Ringo, sia dal divismo assoluto di John e Paul. Si tende a dimenticare che i
Beatles, oltre che un fenomeno di massa restano "un suono", una musica inconfondibile,
nella quale
George
Harrison, come Lennon-McCartney e
Starkey, ha lasciato il suo imprinting, la sua firma d'autore, il timbro indimenticabile della sua chitarra solista.
Pensare a Harrison è pensare a
While My Guitar Gently Weeps
(anche se l'assolo è di Clapton!) e ai tanti altri giri di chitarra dove la sua mano si riconosce, da
Till There Was You
a
You're Gonna Lose That
Girl, da Drive My Car
a
If I Needed Someone, da
And Your Bird Can Sing
a
Happiness is a Warm Gun, da
I Want You
a…
Badge, fuori dall'aura Beatles, in una collaborazione
(i Cream) ad un livello mai offerto, in quegli anni, né a John, né a
Paul.
Ma non solo. George è stata l'anima sublimante dell'influenza indiana: l'amicizia con Ravi Shankar, il tocco-sitar in
Norwegian Wood, la svolta sonora di
Love You To
e la parentesi onirica a suggello di
SGT. PEPPER'S (Within You,
Withot You), poi riprese in
The Inner Light
(con testo, come per
While My Guitar Gently
Weeps, derivante dalla letteratura cinese).
Le sonorità della sua chitarra e la personalità delle
sue composizioni erano diventate inconfondibili tanto che scrivesse
per il gruppo (I Need You,
Think For Youself,
Taxman,
Blue Jay Way,
Long Long Long,
Savoy Truffle),
quanto per i nuovi talenti della Apple (Soul
Milk Sea
per Jakie Lomax) e, significativamente, a fine percorso Beatles,
tra i brani più emozionanti si annoverano i suoi
Here
Comes The Sun e Something!.
Ma il ricordo di Harrison diventa anche ricordo generazionale
"affettuoso": mentre John si immortalava come guru pacifista
di un secolo (Imagine)
e lanciava strali contro l'ex-amico Paul, incline a perdersi
tra le smancerie sonore dei Wings (How
Do You Sleep?),
George sfornava il triplo
ALL THINGS MUST PASS,
caratterizzato da un'ispirazione sempre misticheggiante (My
Sweet Lord)
e da una verve sonora più che mai incisiva, capace di rivisitazioni
leggiadre (If
Not For You)
e sonorità sfacciate (Wah-
Wah),
di riflessiva maturità (Beware of Darkness)
e dell'entusiasmo comunicativo di Apple
Scruffs,
vero, effervescente inno di amicizia verso tutti i fan: suoi,
dei Beatles, di quella magica etichetta, la Apple, che
sembrava poter cambiare il mondo.
Possiamo portarcelo, come tutti gli altri brani, anch'esso nel cuore per poter ritrovare sempre,
"nella nebbia e nella pioggia, tra le gioie e il
dolore", quel giovanile senso di appartenenza ad un sogno comune e il conforto nostalgico di quella chitarra che
"gentilmente piange".
e.l.
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George
Harrison (25/02/1943 - 29/11/2001)
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Twin Towers no
more
Ci
voleva un rapper-coccolone come Jovanotti per dare una scossa
all'acquiescente verve bellica ormai imperante. Il 2001 ha
lasciato in eredità al mondo una nuova unità di misura: qual è
il carico di rottura della tolleranza civile? Il valore oscilla
tra il 98° e il 78° piano di un grattacelo super
affollato…
La sorpresa e l'ingiuria dell'eccidio perpetrato dalla banda Bin
Laden ha spiazzato il mondo: l'idea della rivalsa è apparsa
legittima; consequenziale, purtroppo, quella della vendetta, che
ha preso la forma, mai abbastanza vituperata, della guerra.
Paradossalmente l'azione bellica USA ha mostrato la debolezza
dello strapotere americano. Il massiccio dispiego di forze è
parso voler tamponare la vulnerabilità di un sistema famoso per
il cinismo e l'efficienza dei suoi servizi segreti (Spy
Game),
trovatisi all'improvviso bypassati da una volontà offensiva
deviante, in cui l'estremismo religioso e l'odio culturale hanno
trovato posto negli stessi aerei di morte. Entrare in guerra,
riempire gli schermi televisivi
e le pagine dei quotidiani di altri eventi mortali (ma
"civilmente" motivati e "intelligentemente" manovrati) è il modo
più ovvio per esorcizzare il dolore, catturare il colpevole,
dare nuovi orizzonti di libertà al popolo afgano.
Forse andava fatto, ma lo spazio del "pensiero altro", di
un'altra risoluzione possibile, quali chance
ha
avuto nella discussione delle Nazioni Unite? In Italia le
bandiere in solidarietà col dolore USA e i cortei contro la
guerra si sono quasi bilanciati, la marcia della pace di Assisi
rischia di lasciar meno traccia di un articolo, lucido, ma
troppo carico di invettive,
di un grande scrittrice.
Tra adesioni a boicottaggi anti-multinazionali, manifestazioni
no-global e nausea diffusa da omologazione culturale made in
USA, non siamo anche noi al limite della tolleranza verso lo
stupro ecologico e l'opulenza a senso unico?
Grazie al cielo le nostre radici (caro buon vecchio
cristianesimo) ci tengono lontani dalla faziosa follia di bare
volanti "lanciate a bomba contro l'ingiustizia", ma non sarebbe
il caso di emettere un intrinseco avviso di garanzia alla
sciatta logica del vivere (in)civile che accompagna gli "stati
generali" del nuovo secolo, prima di doverci ancora stupire
della brutalità destabilizzante di altri cittadini del mondo,
più esasperati di noi, meno disposti (educati) a sopportare,
mediare, perdonare?
In Jovannotti
l'intervento della Fallaci ha provocato una reazione viscerale
che ha trovato voce in una canzone. Come sta lo stomaco del
mondo civile costretto a digerire ogni giorno un'escalation di
odio e guerra che non finirà certo con la capitolazione del Bin
Laden di turno?
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Qualcuno si
ricorda dell'Ecu?
Ora che l'euro
è entrato in vigore, un mini-requiem per quell'unità
monetaria fantasma ci può anche stare. La sua fine
prematura (1995) fu prettamente linguistica. I francesi
lo volevano scritto in minuscolo, in Germania era
meglio accetto in maiuscolo, come sigla (ECU =
European Currency Unit), ma, in ogni caso, il problema
sorgeva in lettura: in tedesco "un ecu"
suonava come "eine Kuh", "una vacca"!
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E naufragar (non)
ci è dolce in questo mare...
L'aria
di bufera sulla
scuola
italiana
contina ad incombere, sempre più tempestosa. Dalla scuola-centro
sociale di Berlinguer alla scuola-azienda di Letizia (Joy)
Moratti, dai prof "ulivizzati", animatori culturali a tutto
campo agli insegnanti berlusconiani suddivisi in caste: quelli
di materie teorico-educative (doverosamente culturali e di
discutibile utilità = curricolari, "modello onlus") e quelli di
discipline formative&applicative, da riconfigurare possibilmente
al di fuori dei ranghi istituzionali, in agenzie "a scopo di
lucro" (private, imprenditoriali, redditizie).
L'interpretazione è forzosa, provocatoria, ma quanto lontana e
utopistica? Spostiamo fuori dalla scuola discipline quali
educazione fisica, lingue straniere, informatica: offriamo
lavoro a istituti/professionisti esterni, lasciamo nel ghetto
dela cultura quei docenti ai quali i rovelli educativi
impediscono un'efficienza didattica adeguata...
E facciamo scegliere ai ragazzi la loro strada prima che
un'infarinatura culturale più matura possa far aprire gli occhi
sulle loro vere possibilità/capacità, teniamoli chiusi nella
prigione-scuola non oltre i diciott'anni, perché abbiano una
"pronta" vita adulta e il diritto di uscire nel mondo con un
diploma cooptato dal peso dell'età più dal valore fomativo del
loro sapere. Qualcuno ha percepito il degrado provocato dalle
promozioni senza l'appello di settembre? Qualcuno ha il coraggio
di dire che le rimandature e la spada di Damocle della seconda
opportunità non erano strutturate come soluzione ottimale,ma che
ora siamo sulla lunghezza d'onda del "al peggio non cè mai
fine"? Come far capire agli studenti il precario equilibrio
impegno/sapere se il valore di quest'ultimo è vanificato ad
oltranza (dalle dinamiche di gruppo, dalle scappatoie dell'età)?
E come dare omogeneità ad una formazione scolastica nazionale se
il diritto alla privatizzazione diventa un escamotage per
declassare un'istituzione piena di gloriosa storia e una classe
insegnante che si era formata a proprio rischio, su concorsi a
getto discontinuo e pseudogarantisti (col risultato di un
precariato ingestibile e astioso) e senza una vera progettualità
statale (anche
economica).
Ora la vergogna dei buoni scuola ad ampio spettro è la nemesi di
un contrasto subdolo di giusti/falsi paritarismi, procrastinato
all'infinito: quando anni fa un'"eroica" (?!) Pivetti propose ad
un Costanzo-show il semplice, significativo passo di un equo
sgravio fiscale per le spese scolastiche (rette di istituti
privati in primis) la platea insorse da destra e da sinistra.
Facile allora arroccarsi sulla visione del bicchiere mezzo vuoto
o mezzo pieno: mentre la sinistra ha cincischiato cercando un
contentino politico (non di garantista convinzione!) per il
privato, il Silvo ha optato ora, senza mezzi termini, per dare
al servizio privato (nonché a certe fasce sociali) la piena
"letizia" economica.
Si protestava perché troppo era lo scollamento della categoria
dei presidi dal lavoro sul campo della lezione frontale? In
quala galassia vive (ha vissuto) Bertagna? Quali alieni
scolastici valuteranno l'efficacia di docenti e percorsi
didattici? I sindacati confederati forse adesso cominciano a
vedere dove sta il nemico e dove stanno le vittime, intanto i
prof devono ergersi a tutor (sociali) di alunni sempre più
spaesati e il governo, tronfio di certezze, si chiama fuori dai
problemi dell'istituzione pubblica, fiducioso nel miracolo del
privato. La scuola nella sua vera essenza geme, vacilla, forse
naufraga. E, paradossalmente, quando i topi affondano, la nave
scappa...
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