da La Stampa (Alessandra Levantesi) |
Le feste natalizie secondo Abel Ferrara
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da L'Unità (Dario Zonta) |
I film di Abel Ferrara sono come i romanzi noir di Edward Bunker. Entrambi cantori privilegiati, densi, cupi delle loro rispettive città: New York e Los Angeles. Agli antipodi condividono, insieme a ben pochi altri, quell'intreccio unico e raro tra vita e opere. Sanno quello di cui parlano. Il filosofo austriaco Wittgenstein lo diceva sempre di diffidare di quelli che non conoscono l'oggetto delle loro riflessioni. Basta guardarlo in faccia Ferrara per poter dire «lui c'era, lui ha visto, lui sa di cosa sta parlando», come Edward Bunker, dentro e fuori la galera da quando aveva quindici anni. E ancora una volta il regista di King of New York, Il cattivo tenente, Fratelli parla nel nuovo film Il nostro Natale della sua New York, una delle tante. Non quella di Giuliani, quella della grande pulizia, della tolleranza zero, bensì della New York del sindaco di colore David Dinkins, della Grande Mela al tempo della droga bianca, spacciata, venduta, e contrattata alla luce del giorno sotto gli occhi di tutti. Ma Il nostro Natale non è solo l'ennesimo film sul mondo alla deriva dei consumatori di cocaina e dei rispettivi spacciatori. É prima di tutto un film sulla famiglia. La prima parte, straordinaria e potente, ricorda in tutto e per tutto, addirittura l'Eyes Wide Shut del maestro Kubrick : stessa città, New York, stesso periodo, il Natale, stessa composizione familiare (padre madre figlia), stessa qualifica sociale (borghesia media arricchita), stesso (tranne l’ouverture dell'esordio) avvio, il padre e la madre lasciano la figlia alla tata per uscire. E andare dove? Qui la differenza dei due mondi che viaggiano paralleli. La coppia di Kubrick abbraccia l'esperienza fatale del respiro del potere massonico, quindi si dirige verso l'alto. La coppia di Ferrara svolta in basso e si cala, insospettata, tra le fila dello spaccio della polvere bianca in mezzo a bande di etnie diverse che si dividono il territorio in una guerra tra poveri, tra ultimi: domenicani, portoricani, neri, italiani. Facce diverse di una stessa medaglia scandagliata in una radiografia nera e spietata, come il titolo originale fa intendere - R Xmas (che potrebbe voler dire anche «rated christmas» - Natale vietato - o anche «our christmas» - nostro natale). É inutile rintracciare una trama, un tessuto narrativo, gli ultimi Ferrara lo vietano. Tutto si confonde e si complica a restituire una condizione di vita che come un quadro brugheliano lascia i protagonisti staccati senza senso dal fondo delle loro storie e delle loro vite. Dopo l'esordio dorato natalizio e principesco e lineare, la svolta verso l'inferno. Questo é Ferrara: una scheggia impazzita e geniale che viaggia all'interno del cinema americano. |
TORRESINO gennaio 2002