L'omaggio d'apertura della Mostra del Cinema
allo scomparso Massimo Troisi ha dato un tocco d'inusitata umanità
in una "passerella" cinematografica in cui i "modelli"
filmici hanno spesso l'atteggiamento un po' snob, segnato da preziosismi
stilistici e da contorsioni tematiche.
Il postino diretto da Michael
Radford
rilegge il romanzo di Antonio Skàrmeta trasportando la vicenda
dal Cile ad un'isoletta italiana dove si suppone che il poeta Pablo Neruda
sia stato mandato in esilio per divergenze politiche. E'
una licenza cinematografica necessaria, che incrina in parte l'attendibilità
del racconto (Neruda, "eroe comunista" in patria non aveva altrettanto
carisma in Italia) ma che permette di ricostruire quell'amicizia tra il
poeta e il "suo" postino (Mario) connotando quest'ultimo con
l'indimenticabile napoletanità di Troisi. Neruda (Philippe Noiret)
riceve corrispondenza di continuo, da tutto il mondo, e in un paese di
analfabeti occorre assumere un addetto solo per lui.
Nell'infittirsi della frequentazione tra Mario e il poeta, lo scambio culturale
è univoco, ma il legame d'affetto che si crea tra i due durerà
nel tempo. Quando Neruda tornerà in patria Mario terrà in
sé l'eredità spirituale di quell'uomo, grazie al quale ha
scoperto la soavità delle parole e il peso specifico del linguaggio,
l'universalità del messaggio poetico. Il fatto è che all'improvviso,
banalmente, Mario muore e quando la moglie ne dà annuncio all'amico
Neruda, in quell'istante si è sentita in sala come una soffocante
simbiosi tra la fiction del racconto e l'amarezza del reale. Troisi con
la sua recitazione sommessa e il suo carisma comunicativo (ancor più
segnati in questa ultima fatica dall'evidenza della sua precaria salute)
ha trovato ne Il postino un magico epitaffio: ogni volta che lo rivedremo,
all'immortalità del suo personaggio, regalataci dalle immagini,
si affiancherà la tristezza di quella fine prematura speculare tra
vita e finzione.
|