L'uomo che non c'era (The Man Who Was't There)
Joel Coen - USA 2001 - 1 55'

      Incarnato dal camaleontico Billy Bob Thornton sul modello di attori d’epoca come Humphrey Bogart e soprattutto Monty Clift, il protagonista di L’uomo che non c’era dei fratelli Coen è un barbiere di provincia, introverso e laconico, che nella vita si è ritagliato un ruolo passivo di osservatore. Nel negozio del cognato chiacchierone (Michael Badalucco), Ed Crane taglia capelli, fuma e tace; e a casa, con la moglie Doris (Frances McDormand), contabile in un grande magazzino, è sempre lei a decidere e a comandare. Ma dentro di sé l’uomo cova una segreta voglia di cambiamento che si concretizza quando uno sconosciuto cliente gli propone di investire nell’affare del futuro, una lavanderia a secco. Approfittando dell’infedeltà di Doris che lo tradisce con il capufficio Big Dave (James Gandolfini), sposato con una donna molto ricca, Crane invia a costui una lettera anonima minacciandolo di spifferare tutto se non tira subito fuori 10.000 dollari. Però nulla va come deve andare e, senza volerlo, il barbiere mette in moto un’infernale macchina omicida. Per L’uomo che non c’era i Coen si sono ispirati ai romanzi neri di James Cain tante volte portati sullo schermo, da «La fiamma del peccato» a Il postino suona sempre due volte, ricalcando il personaggio di Crane, un perdente che stoltamente imbocca la via del crimine, sul modello dei tipici antieroi usciti dalla penna dello scrittore statunitense. Tuttavia nel bianco e nero impeccabile e rarefatto di Richard Diekis, l’odissea dell’uomo comune assume anche un valore di metafora: non a caso siamo nell’America del ‘49 dove, tra lo spauracchio dei sovietici e l’incubo di un possibile conflitto atomico, si sta aprendo (lo dice nel film l’avvocato Tony Shalhoub) un’era basata «sul principio dell’incertezza». Permeato di ironia e sensibilità retrò com’è nella vena di Joel (regista e sceneggiatore) ed Ethan (produttore e sceneggiatore), interpretato da un’eccellente squadra di attori e imbastito su un raffinato intreccio di citazioni, L’uomo che non c’era è un thriller parodico nel senso alto della parola (ci trovi dentro tutto il «noir» classico da Billy Wilder a Fritz Lang) e insieme, come certi drammi di Arthur Miller, un dolente requiem del sogno americano. 

Alessandra Levantesi - La Stampa

      L’uomo che non c’era, che non c’è mai stato, affogato in una cittadina di provincia, incolore, faccia spenta, per sempre secondo nel negozio di barbiere dove lavora, è lo straordinario Billy Bob Thornton, invecchiato, dimesso, intristito dai fratelli Coen in vena di anni ’40. Non il passato affannoso ma comunque solare di Fratello, dove sei?: questi anni ’40 sono meticolosamente virati al nero, segnati più che dalla povertà da uno strisciante squallore esistenziale, dalle frustrazioni infinite di una petulante vita piccolo borghese. Il barbiere, allora, si trova invischiato in un gioco più grande di lui, come accadeva nei romanzi di James M. Cain (alle cui suggestioni i Coen si sono esplicitamente ispirati), nel film di Fritz Lang e di Robert Siodmak. Atmosfere, inquietudini, tristezze sono meticolosamente ricostruite dalla fotografia in bianco e nero di Roger Deakins, dai tagli di luce che forano il buio e il grigio dilaganti. E la cadenza inevitabile del destino è sottolineata (come nella Fiamma del peccato di Wilder) dalla voce narrante del protagonista, quieta, smorta, rassegnata. In fondo, cercava solo «un qualche tipo di fuga, un qualche tipo di pace». Sottotono, molto raffinato e desolato.

Emanuela Martini - Film TV

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