Moulin Rouge
Baz Luhrmann
- USA 2001 - 2h 


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   Qual è il linguaggio dell'amore? Qual è la "forma" del cinema? Baz Luhrmann film successivo in archivio sembra avere tutte le risposte. Dopo le esibizioni danzanti (Ballroom) e la rielaborazione shakespeariana (Romeo + Juliet) esplicita con Moulin Rouge l'essenza del suo teorema d'autore: la canzone (poesia in musica) come veicolo sentimentale principe, il melo e la coreografia del musical come capisaldi di una struttura cinematografica universale, intimista e spettacolare, di sotterranea, calibratissima scrittura, esuberante di "affetti ed effetti speciali". 
Il primo approccio narrativo è quello, accattivante dell'io narrante.  Su un sipario a tutto schermo che apre maestosamente Moulin Rouge-film e dà libertà  alla nostra immaginazione, è il nano Toulouse Lautrec che ci introduce nella triste istoria, dà focalizzazione ai personaggi e, con essi, ai vari livelli del puzzle diegetico: il racconto passa nelle mani del poeta-scrittore Christian (Ewan McGregor), si ricrea nel suo ricordo commosso e nell'ispirato ticchettio della macchina da scrivere. Poi, scivolando con lui nostalgicamente in flash-back, entriamo nel vivo della messa in scena, nel Moulin Rouge-luogo scenografico di cui Zidler è il deus ex machina e dove l'algida e seducente Satine (Nicole Kidman) brilla quale dea dell'avanspettacolo, musa e cortigiana di una Parigi notturna, più barocca che lasciva, più bohemien che frivola.
L'avventura amorosa di Christian e Satine è frutto di equivoci e inganni, di macchiavellici  complotti
"dietro le quinte" e appassionate trame sentimentali sotto le stelle. Satine ha la sua alcova in un attico-elefante che sovrasta Parigi, il suo letto è il palco d'onore a cui ambiscono il libertino duca di Worcester e l'idealista Christian, le sue stanze sono il palcoscenico per le prove generali di un nuovo spettacolo che deve infiammare la città e dare nuova linfa, artistica ed economica, al Moulin Rouge.
E il tutto è cine-narrato secondo i canoni classici del musical (splendido il backstage programmatico sulle note del Can-Can), ma con una verve innovativa "epocale" che fa duettare Christian e Satine in un medley che inanella melodie e ritornelli delle più struggenti love-song della pop music di questi anni. 
 Il testo di Your Song (Elton John) dà le parole giuste a Christian per sublimare in musica la sua passione per Satine
("how wonderful life is, now you're in the world"), e, a corredo della loro reciproca infatuazione sentimentale, intervengono Heroes, I Will Always Love You, All You Need Is Love... Frasi sonore compiute o semplicemente accennate, ma tutte perfette per rendere l'atmosfera di un amore "infinito" e indefinibile (se non con la forza del linguaggio del cinema e delle canzoni!).
Cosi come è perfetto (sontuoso nella forma, prezioso nell'intarsio concettuale) l'intrecciarsi della sofferta scelta di Satine (il ricco potente o il romantico squattrinato?) con l'analogo dramma del suo personaggio sul palcoscenico, che deve decidere se accettare le nozze col perfido maraja o fuggire col suo innamorato suonatore di sitar.
A suggellare la tragedia interviene la malattia incurabile di Satine (tisi), ad inebriare la riuscita cinematografica dell'opera ci pensa la regia febbricitante di Luhrmann che, se può apparire esagerata nella prima parte, diviene poi debordantemente finalizzata col crescere del film, fino ad arrivare allo spettacolo nello spettacolo del finale, dove i colpi di scena si susseguono con la stessa frenesia della passione cine-canora del racconto, dove un surplus di aspettative disattese e amari destini fa da chiosa ad un capolavoro dell'eccesso cinematografico, ad un "musical terminale" che incarna in Nicole Kidman il fascino della dark-lady, la vitalità di Gilda, la sensualità dell'Angelo Azzurro. Che sposa Busby Berkley e René Clair, Puccini e Offenbach, Diamond's Are A Girl's Best Friend e Lady Marmelade. Che, nell'uso sapiente del digitale, illumina d'intenso la notte parigina, mettendo in risalto i dettagli ed esaltando l'insieme: dà luce iperreale alle finestre degli abbaini e alle stelle del firmamento e, dai tetti del Moulin Rouge (come da una bottiglia di fantasmagorico, spumeggiante divertissment) fa esplodere un nugolo di cappelli a cilindro, coriandoli post-moderni di un'eterna Belle Epoque.

e.l. MC magazine 2 - gennaio 2002

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