C'era
una volta la letteratura per l'infanzia. Negli scaffali della nostra
reminiscenza la polvere ricopre Andersen e Grimm, Twain e Dickens, Baum
e Collodi, Barrie e Travers. La proposta di Tolkien è repertorio di
pochi (piccoli) eletti e solo la svolta editoriale di Ende ha riacceso
di recente il piacere senza età della fantasy. All'appannarsi della
rielaborazione immaginifica personale legata alla pagina scritta ha
comunque ben supplito il fantasmagorico immaginario collettivo del cinema:
Disney ha reinventato su pellicola archetipi e contesti classici, autori
anche non eccelsi hanno saputo con diligenza e brio sfornare trasposizioni
spesso felici di fiabe e favole, racconti e romanzi costruendo un ricco
percorso di cinema per ragazzi (e non) anche "originale", che si è sublimato
in questi ultimi vent'anni con titoli
quali Guerre stellari, E.T.,
Toy Story…
Come atteggiarsi allora nel contesto del fenomeno "global" di Harry
Potter? Restii a dedicare tempo ai tomi della Rowling (4 libri già pubblicati, altri 3 in arrivo), un po' prevenuti verso la regia "standardizzante" di Columbus (Mamma ho perso l'aereo) ci si trova davvero spiazzati di fronte ad un blockbuster come
Harry Potter e la pietra filosofale che non tradisce mai il testo originario (la Rowling ha approvato, i bambini-spettatori escono più che soddisfatti), non sbaglia un'inquadratura, trova i volti e le espressioni giuste per tutti i suoi protagonisti, costruisce una rutilante avventura di magia ed iniziazione adolescenziale che scandisce sapientemente il ritmo, giustifica la durata (2 ore e mezza), si esalta con calibrati colpi di scena, tiene in fibrillazione la nostra attenzione visiva… solletica di rado le nostre emozioni profonde!
Certo Harry Potter è un prodotto dedicato ai ragazzi (gli incassi al botteghino rendono conto comunque di un pubblico ben più variegato), ma, almeno a Natale, nel lasciarci andare con ingenua frivolezza alla riscoperta del bambino che è in noi, il cinema non ci aveva abituato ad un coinvolgimento più "rispettoso" e toccante? Problemi di senilità critica o di rigetto all'omologazione schermica? Ciò che forse lascia più perplessi è l'aspettarsi una storia affascinante con una trasposizione cinematografica non all'altezza e aver invece l'impressione di trovare un'azzeccata omogeneità di stile, ma una mediocrità sostanziale d'invenzione narrativa, un plot fascinoso e non affascinante, uno spazio esoterico debordante dove tutto è
permesso e dove, di tutto, non ci si può che, doverosamente, stupire.
A partire da quell'incipit notturno dove il gran mago Albus Silente
e la professoressa McGranitt attendono l'arrivo del gigante Hagrid (che
scende dal cielo su una rombante motocicletta) per la consegna dell'orfanello
Harry, segnato in fronte da una carismatica cicatrice a forma di saetta,
marchio indelebile dell'accanirsi del perfido Voldemort, della tragica
fine
dei suoi genitori, del suo fulgido destino di mago.
Il piccolo Harry viene lasciato sull'uscio degli unici parenti rimastigli
(gli squallidi zii Dursley) e la parentesi della sua prima infanzia
(Davide Copperfield, Cenerentola,
Matilda 6 mitica...) ha il sapore strano della banalità
e dello straordinario, suggellato da una tempesta di lettere che invadono
la casa per avvisare Harry, allo scadere dell'undicesimo anno, della
sua iscrizione alla scuola di maghi di Hogwarts.
In perfetto british style il ragazzino affronta il suo viaggio iniziatico.
Prima a Diagon Alley, un quartiere-altro dove acquistare il suo corredo
scolastico (con sosta in una favolistica filale bancaria popolata da
digrignanti gnomi…), poi alla stazione ferroviaria dove scopre l'ectoplasmatico
accesso al binario 9 e ¾ (!): da lì su un vecchio treno a vapore, attraverso
verdi vallate il nostro eroe giunge alfine all'antico castello dove
ha sede la scuola…
Per non sentirci troppo "babbani" occorre essere pronti ad assistere
a lezioni di erbologia e trasfigurazione, di lievitazione e di volo
a cavallo di una scopa, ad imparare le regole vertiginose di uno sport
quale il
quidditch, a reinterpretare le mosse sulla scacchiera come concreti
rischi esistenziali. Il gusto del gotico a tutto tondo, di edifici stregati
e mostri giganteschi, di sfide fantastiche e sortilegi in agguato esalta
l'impatto immaginifico di un gioco iterato d'incantesimi che non esita
a lanciare sguardi "educativi" nella selva nera dell'occulto, a perdersi
per ritrovarsi nello specchio dei propri desideri, ad affrontare con
gli strumenti principi dell'adolescenza (ingenuità e forza d'animo;
lealtà, amicizia e inventiva) il volto nascosto del male.
Tra Indiana Jones e Pagemaster, con un occhio a Ursula Le Guin e uno a Roald Dahl, l'apprendista stregone di Rowling&Columbus risulta istintivamente simpatico, diverte sullo schermo probabilmente quanto sulla pagina scritta anche se forse la materializzazione del fantastico su celluloide non raggiunge, ancora una volta, il gusto "magico" delle libera invenzione del lettore. In ogni caso, il risultato cinematografico ha un potere di seduzione narrativa molto circoscritto, squisitamente generazionale. E con questo non si vogliono intendere solo i ragazzi, ma anche coloro che, avidi di fantasia e mistero, riescono a ritrovare in questa "scuola di formazione" per piccoli maghi quel quid di partecipazione emotiva cha a noi è mancato.
Poco importa comunque, il giudizio globale è "doverosamente" positivo
e se Harry Potter non ha trovato la pietra filosofale per impadronirsi davvero del nostro
cuore, non ha certo fallito il suo obiettivo per quanto riguarda il
grande pubblico. Gli incassi al botteghino sono da record in tutto il
mondo, la distribuzione italiana attende, entusiasta, di tirare le somme
al termine di questo sbaragliante periodo natalizio, le case editrici
contano su un'ulteriore feed-back per le vendite in libreria. Noi, fantasy
per fantasy, preferiamo aspettare trepidanti l'uscita sul grande schermo
(gennaio!) del primo episodio cinematografico de
Il Signore degli Anelli!.
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