Invictus -
L'invincibile
Clint Eastwood
- USA
2009
- 2h 14' |
Il
24 giugno 1995 l'Ellis Park Stadium di Johannesburg fu teatro di due
vittorie storiche. La nazionale di rugby sudafricana, gli Springboks,
strappò la coppa del mondo ai mitici e superfavoriti All Blacks
neozelandesi. E il presidente Nelson Mandela vinse una battaglia delicata
quanto decisiva per la riunificazione del paese. Usare come strumento di
pace il rugby, sport praticato dai bianchi e considerato dai neri simbolo
dell'apartheid, sembrava a tutti una follia. Eppure Mandela aveva visto
giusto. Come dice in
Invictus Morgan Freeman, che sognava da sempre di
vestire i panni del presidente sudafricano: «La nazione arcobaleno
comincia da qui. La riconciliazione comincia da qui. Anche il perdono
comincia da qui».
È una delle tante battute ad effetto di cui è costellato questo film
impeccabile ma un poco prevedibile, ammirevole per sobrietà, misura,
messaggio politico, ma sempre al di sotto di quanto era lecito aspettarsi
dal suo regista,
Clint Eastwood
. Che qui sembra rinunciare all'ambiguità e
alla complessità del suo cinema per battere e ribattere su un solo tasto.
Nella prima scena l'auto che riporta Mandela a casa dopo 27 anni di
prigione percorre una strada altamente simbolica. Da un lato un campo
erboso su cui i bianchi si passano la palla ovale. Dall'altro uno spiazzo
fangoso su cui neri cenciosi tirano calci a un pallone.
Stesso messaggio quando Mandela si insedia presidente. Non solo invita il
personale bianco a restare e lavorare con lui («Abbiamo bisogno di voi»),
ma affianca alle guardie del corpo nere i brutti ceffi afrikaaner delle
squadre speciali che fino al giorno prima gli sparavano addosso. È qui che
Mandela/Freeman parla la prima volta di nazione arcobaleno. Ma ogni scena
del film ribadisce il concetto. Cosa efficace sul piano politico, un po'
meno su quello del cinema. Certo, è impossibile non emozionarsi quando
l'intero stadio, senza distinzione di colore, intona l'inno sudafricano
dei neri, considerato fino a poco prima roba da terroristi. Impossibile
non commuoversi quando il capitano François Pienaar (Matt Damon) visita
con la squadra degli Springboks il carcere di Robben Island e la cella
angusta in cui "Madiba" Mandela ha trascorso quasi tutta la sua esistenza.
Però Eastwood, riconoscibile nel gusto sicuro per i volti, in certi
dettagli, nel tono sempre antiretorico (così difficile quando si tratta di
sport), accenna appena a piste narrative che meriterebbero ben altri
sviluppi. Dai rapporti di Mandela con la famiglia, e con la figlia che lo
contesta, alla famiglia di Pienaar, alla vita in quelle township sempre
viste da lontano o popolate di ragazzini pieni di vita. Forse Invictus,
ispirato al documentatissimo libro del giornalista John Carlin (Ama
il tuo nemico, ed. Sperling & Kupfer), più che a
Eastwood appartiene a Freeman, che ha comprato i diritti del libro e lo ha
prodotto. |
Fabio Ferzetti - Il
Messaggero |
...Il
film congela magnificamente il momento chiave e drammatico nella storia
del nuovo Sudafrica, il 1995. Mentre si teme il bagno di sangue
vendicativo e un probabile attentato a Mandela (nel '93 è stato
assassinato Chris Hani, segretario del partito comunista), e si esige una
scorta mista composta da fedelissimi di Madiba e da armadi boeri molto
professionali, l'Anc (non solo Mandela, come fa credere il film, anzi le
sue prime dichiarazioni furono: «Nazionalizziamo tutto!») punta
alla pacificazione razziale nel paese (i vincitori dovranno dimostrarsi
superiori anche politicamente ai vinti, ai selvaggi bianchi, no?) e ai
«processi di verità e riconciliazione, perdono più giustizia», una ricetta
inedita nella storia della democrazia occidentale. Anche perché l'Anc non
può permettersi, in attesa della formazione di una classe media nera
competente, di perdere il controllo economico e sociale del paese. La
nazione si dovrà unire per svilupparsi e crescere...Come? Attraverso lo
sport. Per questo il film si avvale del collaudato «pacchetto di mischia»
di Clint (sempre estremamente attratto dalla superiorità etica di chi sa
incorporarsi nel nemico e, vincendo, non può umiliarlo o annientarlo): dal
produttore Robert Lorenz allo scenografo James Murakami, dal direttore
della fotografia Tom Stern ai montatori Joel Cox e Gary Roach, dalla
costumista Deborah Hopper al compositore Michael Stevens (e ai figli, il
musicista Kyle e Scott, in veste di giocatore).
E
Invictus
diventa così un «buddy movie» old fashion alla Frank Capra, o alla Ford o
alla Hawks, un duetto tra nemici che si alleano. Il capitano boero della
squadra, François Pienaar (non poco diffidente sulle prime: è uno
strepitoso Matt Damon) e il presidente Xhosa, il primo democraticamente
eletto (è Morgan Freeman, ma, scrive un critico sudafricano, è talmente
bravo che pare Mandela nell'interpretazione di Freeman), che sogna un
Sudafrica arcobaleno e sa quanto gli Springboks o i Bafana Bafana o Miriam
Makeba possano esprimerlo. Bisognerà dare però, prima, reciprocamente
l'esempio. Io, Pienaar, faccio vincere, con il cuore, una squadra per
quattrodici quindicesimi bianca, se tu fai decollare, coeso, un paese per
quattordici quindicesimi nero. Bisognerà trovare poi, l'ispirazione
giusta. Eccola, una poesia:
Invictus di William Ernest Henley, lo
scrittore vittoriano che ha permesso al prigioniero Mandela di resistere
27 anni ai suoi aguzzini in una cella minuscola ( la vedremo): - «Dal
profondo della notte che mi avvolge...ringrazio tutti gli dei per la mia
anima indomabile...Io sono il padrone del mio destino, il sono il capitano
della mia anima». Bisognerà avere infine fortuna e aspettare, quasi
all'ultimo minuto della finale, sperando in un perfetto calcio piazzato. E
conquistare la coppa del mondo, in un mondo davvero cambiato.
«Lo sport - dice Mandela ai suoi settari e estremisti seguaci che
vorrebbero cancellare squadra inno e bandiera e sport e divertimento e
piacere e tifo e festa - ha il potere di cambiare il mondo. Ha il
potere di ispirare, ha il potere di unire il popolo, come poche altre cose
fanno». E tutto aveva cercato di fare il serioso e incestuoso potere
boero dal 1948 al 1990 tranne permettere l'unione della maggioranza nera
con la minoranza europea. Se aggiungete la paura folle che hanno delle
immagini non propagandistiche tutti i governi e i partiti fanatici e
fondamentalisti del mondo... |
Roberto Silvestri - Il
Manifesto |
promo |
Il 24 giugno
1995 l'Ellis Park Stadium di Johannesburg fu teatro di due
vittorie storiche. La nazionale di rugby sudafricana, gli
Springboks, strappò la coppa del mondo ai mitici e superfavoriti
All Blacks neozelandesi. E il presidente Nelson Mandela vinse una
battaglia delicata quanto decisiva per la riunificazione del
paese... È difficile non commuoversi quando l'intero stadio, senza
distinzione di colore, intona l'inno sudafricano dei neri e quando
il capitano Matt Damon visita con la squadra la cella angusta in
cui Morgan Freeman-Mandela ha trascorso quasi tutta la sua
esistenza. Un Eastwood sempre straordinario, capace di non cadere
nella retorica ma di trasmettere un'emozione memorabile. |
|
LUX
- aprile 2010
|
|