Il
cinema cinese è di fatto una presenza consolidata e immancabile in
ogni festival e di per sé già questo (senza ricordare i premi e i nomi
noti) è significativo a denotare la spinta creativa di un popolo
costretto a tollerare divieti censori e a raggiungere delicati
compromessi con le autorità della morale e della politica. Osservando
però i risultati scaturiti da questo perpetuo confronto per
l'ammissibilità della propria visione si riesce a evidenziare - per
quanto generalizzato e sfaccettabile possa essere il contorno -
un'attitudine effusa e inequivocabile alla formazione di uno stile in
grado di qualificare sia sul piano dell'espressione sia su quello del
contenuto lo scorrere cinematografico della Cina continentale. Un
cinema dunque che può essere considerato come diretta formazione di un
sentimento popolare e rappresentazione delle varianti connotative che
può assumere il segno al di là dei confini culturali di una nazione.
Guan Hu è attualmente uno dei registi televisivi più famosi in Cina.
Di fatto sconosciuto prima d’ora in Europa, ha presentato a Venezia
Dou niu (Cow),
film assolutamente imprevedibile nella sua superba, insolita e
rivoluzionaria compiutezza melodrammatica.
Siamo
nell’inverno del 1940, in piena guerra contro l'invasione giapponese,
Niu Er è l’unico sopravvissuto di un villaggio distrutto dalla ferocia
del nemico; lui assieme alla preziosa mucca da latte olandese
destinata al sostentamento dei soldati feriti. Di fronte al desolante
paesaggio di morte l'uomo e la mucca, come unica alternativa alla
solitudine e a un presagibile tragico destino, si vedono costretti a
stabilire una relazione di reciproca ma non pacifica convenienza. Il
percorso di sopravvivenza di questa coppia è affrontato con la
delicatezza, l'affetto, le contraddizioni e la rispettosa tolleranza,
in primo luogo, dei sentimenti che emergono vividi senza per questo
risultare ostentati o pateticamente marcati. È proprio questa
attenzione per i sentimenti e le modalità attraverso cui è possibile
modularli nella scena, rendendoli vivi e soprattutto credibili, il
vero nucleo di questo film e più ampiamente di un criterio di
osservazione che conduce una certa produzione artistica cinese: “La
mucca è l’animale che probabilmente meglio rappresenta il carattere
del popolo cinese. Goffa e silenziosa com'è, rappresenta l'onesta e la
perseveranza, virtù esistite principalmente nei cuori degli umili
contadini che sfortunatamente sembrano appartenere al passato.”
Nelle parole di Guan Hu si rispecchia la storia di Niu Er e la sua
mucca: il loro legame è regolato da una complicità che
rende l’animale possessore di qualità ed emozioni umane mutuate dalla
semplicità e dalla fedeltà dello strambo contadino. La conquista della
reciproca tacita fiducia avverrà attraverso un graduale compiersi di
situazioni più o meno paradossali, contingenti, tragiche o comiche, in
una sorta di sincero tributo alla vita e a certi scomparsi valori.
Il rischio di rendere tutto pietosamente stucchevole era in effetti
dietro l’angolo, tuttavia il regista sa maneggiare la materia e il
film si dimostra come una sintesi ponderata tra istanze primordiali e
opposte (la vita e la morte, l'affetto e la solitudine, il cibo e la
fame) e il succedersi della narrazione ricorre continuamente a momenti
del passato che integrano e di conseguenza definiscono di significato
le azioni del presente organizzando così un tempo proprio della
conoscenza, tipico di ogni relazione. Il risultato è una poesia
onirica e per certi versi dirompente: grezza, amara e dolente nei
confronti della bestialità dell'uomo, autentica e sensibile rispetto
all'umanità della bestia. Una lirica questa che non finirà mai di
essere dannatamente attualizzabile. In ogni momento, in ogni luogo.
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