Donne senza uomini
(Zanan bedoone mardan - Women Without Men) |
Leone d'argento per la miglior regia
Se
tra cinema e arte contemporanea esiste un rapporto dialettico, di
rispecchiamento reciproco, questo non significa però che tra i due
ambiti non esista un punto di discontinuità forte, che riguarda non
tanto il linguaggio quanto alcuni aspetti del dispositivo, quali il
ruolo più o meno attivo dello spettatore, la “durata” e la
mobilità/fissità del punto di visione.
Questo spiega forse la delusione del pubblico e la freddezza della
critica di fronte alle opere di due pur importanti ed affermati
artisti contemporanei, Pipilotti Rist (Pepperminta
sezione Orizzonti) e Piotr Uklanski (Summer
Love, in concorso nel 2006), che, avendo probabilmente
sottovalutato le esigenze diverse del dispositivo cinematografico,
hanno presentato delle opere sicuramente interessanti, ma più adatte
ad una Biennale Arti Visive che ad una Biennale Cinema. Anche se la
questione sarebbe tutta da discutere.
ll film è incentrato sulle storie di quattro delle protagoniste del romanzo, donne molto diverse socialmente, ma accomunate dalla volontà di sfuggire a un passato “turbolento”, come lo definisce la regista, e di prendere in mano il proprio destino. Le loro vicende vengono raccontate attraverso un montaggio alternato fino a che tutte convergono misteriosamente verso un giardino di campagna. Il giardino (luogo che occupa una posizione centrale nella letteratura della tradizione persiana e islamica) diventa per loro un rifugio, un luogo di esilio, in cui possono staccarsi dal mondo esterno.
Per evocare il desiderio di libertà manifestatosi recentemente in
Iran, Neshat ha voluto collocare le vicende personali delle
protagoniste in un periodo storico molto importante per il suo paese,
quello del colpo di stato del 1953, che, su iniziativa dei governi
britannico e americano, rovesciò il primo capo di governo
democraticamente eletto, Mohammad Mossadegh, e riportò al potere lo
Shah, che avrebbe imposto 25 anni di crudele dittatura, concedendo al
mondo occidentale di disporre a condizioni vantaggiose delle riserve
petrolifere del paese e aprendo così la strada alla Rivoluzione
Islamica del 1979.
Se lo sviluppo narrativo risente di un certo meccanicismo
nell’alternarsi delle diverse storie, la costruzione perfetta
dell’inquadratura, l’uso sapiente del colore e dell’illuminazione,
uniti alla capacità di dare alle vicende delle singole donne una
valenza universale, che va al di là del contesto geografico, ne fanno
un film sicuramente originale, interessante e toccante, a cui forse
non avrebbe guastato una maggiore ambiguità nell’enunciazione delle
tematiche. |
Cristina Menegolli - MCmagazine 27 (ottobre 2009) |
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Le storie intrecciate di quattro donne molto diverse socialmente, ma accomunate dalla volontà di sfuggire a un passato “turbolento” e di prendere in mano il proprio destino. Le loro vicende vengono raccontate attraverso un montaggio alternato fino a che tutte convergono misteriosamente verso un giardino di campagna. Il giardino (elemento fondamentale nella letteratura della tradizione persiana e islamica) diventa per loro un rifugio, un luogo di esilio, in cui possono staccarsi dal mondo esterno... Un film tutto costruito sull’intreccio tra mondi “interiori” ed “esteriori”, sottolineato la costruzione perfetta dell’inquadratura, dall’uso sapiente dell’illuminazione e del colore (dai toni cromatici vivaci del giardino alla desaturazione delle manifestazioni per le strade). Un'opera originale, efficace nell’enunciazione delle tematiche, affascinante nell'amalgama estetica di enigma e astrazione. |
TORRESINO
- aprile 2010 |
cineforum ANTONIANUM/The Last Tycoon 2010-2011 |