Il western dovrebbe essere considerato una specie protetta. Un genere storico che ha sfornato capolavori del cinema come Ombre rosse, Un dollaro d’onore, Sentieri selvaggi, ha diritto a un maggiore rispetto. Il polacco Piotr Uklanski sarà anche un artista visuale di fama mondiale ma questa sua opera prima, Summer Love, è un’accozzaglia di luoghi comuni o meglio un pretenzioso tentativo di destrutturate il western e i suoi topòi, attraverso uno sgargiante iperrealismo, una brutalità esibita, discorsi di sesso e di filosofia di vita. A Venezia si annovera già come una pecca la presenza del bislacco Dust di Milcho Manchevski (2001), ora, dopo la psichedelia di Blueberry della stagione scorsa, ecco che un altro autore europeo che sbeffeggia il genere principe del cinema hollywoodiano. Uklanski ha la pretesa di di realizzare “un film allegorico che fa uso del linguaggio western, sfruttando i generi più codificati del cinema per trattare i temi dell’identità etnica e dell’autenticità culturale”. E con questo alibi in tasca ecco schizzi di sangue a iosa, primissimi piani alla Sergio Leone, insert di violenza (perfino una testa mozzata con la vanga), inquadrature sghembe, immagini di treni e garretti di debordante citazionismo, esibizione di corpi in amplesso a comporre, frame dopo frame, la scritta “sex”, racconti di aborti e di strangolamento di cani, un tentativo di suicidio per impiccagione, perfino la soggettiva dagli occhi di un cavallo… Non da Fuori concorso, da fuori Festival!
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ezio leoni - Il Mattino di Padova 6 settembre 2006 |