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Il Leone alla corte del Drago

   Capita raramente che ci sia concordanza tra il giudizio della critica e il verdetto della giuria. Anche quest’anno i pronostici sono saltati e il Leone d’Oro a Still Life (Cina) è stata una sgradita sorpresa. Ma come, il massimo riconoscimento ad una Natura morta (traduzione letterale) di trattenuta emotività e spento lirismo? Ad un titolo inserito all’ultimo momento come film a sorpresa (intrappolato tra l’altro in orari di proiezioni impossibili), ennesimo baluardo di un cinema orientale che ha inflazionato la mostra (del regista - Jia Zhang-Ke - era presente anche un’opera nella sezione Orizzonti, il documentario Dong!) e che, comunque, con ben altri segnali aveva saputo ravvivare l’entusiasmo cinefilo (Hei yanquan ed Exiled su tutti). Facciamo allora il punto del panorama completo offerto dal Concorso cercando riscontro tra il nostro gradimento e quello di colleghi e inviati “affidabili”. Sui 22 titoli di Venezia LXIII va detto, in positivo, che in pochi casi la scelta di Müller & co. ha creato sconcerto. Falling (Barbara Albert – Austria) è quello che a molti è parso “inopportuno”, Black Book di Paul Verhoeven è sembrato di sconvolgente impatto ad alcuni, solo “sconvolgente” (per esser stato inserito) ad altri. Inutili L'Intouchable (Benoît Jacquot), The Fountain (Darren Aronofsky) Mushi-shi (Katsuhiro Otomo) mentre Paprika ha entusiasmato i giovani in sintonia con la verve "animata" del cinema giapponese, lasciando indifferenti i più. Una caduta nella noia della retorica d’autore La stella che non c’è di Amelio, ermetico oltre ogni suggestione formale Syndromes and a Century del tailandese Apichatpong Weerasethakul (chi ha visto Tropical Malady può capire…), “di un rigore stilistico datato” il giudizio più benevolo verso Quei loro incontri di Danièle Huillet e Jean-Marie Straub. Contrastati i pareri sull’estetizzante russo Ejforija (da Leone? da buttare?) e su Hollywoodland (calligrafismo divistico o verace spaccato del falso paradiso hollywoodiano?); apprezzatissimo, ma inconciliabile con una generazione non tarantiniana, l'adrenalina in celluloide di Johnny To (Exiled); deludente, almeno rispetto al romanzo di Ellroy e ai colpi d’ala a cui De Palma ci aveva abituati, The Black Dahlia.
Tra quello che restava, il dubbio per il verdetto che la giuria avrebbe potuto esprimere: chi si era lasciato toccare dall’intensa interpretazione e dal tormentato rapporto madre-figli di Nue Propriété (Joachim LaFosse – Belgio), chi aveva trovato di significativa urgenza sociale il crudo Daratt (prima presenza della cinematografia del Ciad), chi non sapeva scegliere tra la “regale” messa in scena di Stephen Frears (The Queen) e la leggerezza autoriale di Alain Resnais (
Cuori- Private fears in public places), capace di far “suo”, in perfetta osmosi cinematografica, il testo teatrale di Alan Ayckbourn. Certo che le emozioni più forti erano venute dalla cupa parabola fanta-futuribile di Alfonso Cuaròn (Children of men: uno script orwelliano, un inebriante lavorio alla macchina da presa) e dal commovente affresco - ibrido di Grand Hotel e Nashville - con cui Emilio Estevez ha rievocato l’ultimo giorno di Robert Kennedy al Hotel Ambassador di Los Angeles (Bobby: prezioso intarsio di fiction e di immagini di repertorio, con i discorsi del mancato presidente USA, a rinverdire l’utopia di un futuro di democrazia e di pace); ma come sottovalutare l’ipnotica miscela di lirismo e malessere esistenziale con cui Tsai Ming-liang ha saputo cesellare il suo Hei yanquan - I Don't Want to Sleep Alone?
In tante ambasce (di critica e pubblico) ecco spuntare in dirittura finale il poetico affabulare di
Nuovomondo, compatto incedere di ingenua soavità e metafore oniriche (la via lattea che oltreoceano attende gli emigranti), di disincantate speranze ed “evidenti” lacerazioni sociali (memorabile il mare di gente che resta “spezzato” quando la nave si allontana dal molo). Un Leone d’oro quasi ovvio a questo punto e che, puntualmente, non è arrivato. Qualcuno adduce una inopinata insistenza dei “nostri” giurati per assegnare un premio anche a La stella che non c’è (allo smunto Castellitto?) che avrebbe così infastidito da far lievitare le quotazioni (stranamente unanimi) di Still Life; altri hanno tirato in ballo la supponenza di Catherine Deneuve che aveva accettato a malincuore per Resnais “solo” il Leone d'argento per la migliore regia (ancora invidie italo-francesi?). Certo è che Helen Mirren aveva già convinto tutti come miglior attrice protagonista (e il regolamento non concede di bissare un premio di rango), un riconoscimento al cinema USA era di prammatica (ma come trascurare per la Coppa Volpi maschile il Toby Jones di Infamous? E, pur restando in Hollywoodland, non era meglio premiare Adrien Brody anziché Ben Affleck?) e come non segnalare la presenza africana in un Festival così smaccatamente filo-asiatico (Premio speciale della Giuria a Daratt di Mahamat Saleh Haroun)? Ecco allora una riunione straordinaria dei vertici della Biennale per inventare in extremis un ulteriore premio, Leone d'argento rivelazione e far entrare nell’olimpo veneziano anche il film di Crialese.
La storia di questa Mostra del Cinema resterà negli annali per tanti grandi film e per questo spiacevole pateracchio…

ezio leoni - La Difesa del Popolo  17 settembre 2006



Leone d'oro

Still Life - Jia Zhang-Ke


Leone d'argento
per la regia

Cuori- Private fears in public places - Alain Resnais


Leone d'argento
per la rivelazione

Nuovomondo - Emanuele Crialese


Premio Speciale
della Giuria

Daratt - Mahamat Saleh Haroun


Coppa Volpi
miglior attore

Ben Affleck (Hollywoodland)


Coppa Volpi
miglior attrice

Helen Mirren (The Queen)