Come
riesce un film a rivelarsi “memorabile” pur senza essere un
capolavoro? La forza evocativa del racconto può talvolta supplire ad
alcune carenze di compattezza e ritmo, trasformare in commossa
partecipazione anche il fluire esplicito della retorica. Così
Bobby
nel narrare la tragica notte che portò alla morte di Robert F. Kennedy,
esibisce l’assunto di una commemorazione di ideali perduti, glissa
sull’urgenza della tensione drammatica attraverso una vivace
coreografia di personaggi comuni, si immerge nell’atmosfera del tempo
facendo risuonare sullo schermo le musiche e le canzoni di quegli anni
(da Donovan a Simon & Garfunkel, dai Los Bravos ai Moody Blues), le
parole e la voce di un’utopia libertaria che si spense in quella notte
tra il 5 il 6 giugno 1968.
Per la coralità e l’intarsio del racconto il riferimento va certo a
Grand Hotel
(anche per la ricchezza del cast) e a
Nashville
(anche per il crudo epilogo), ma se
Bobby
non ha la scorrevole leggerezza del primo né l’arguta complessità del
secondo, l’impatto emotivo che riesce a creare resta negli occhi e nel
cuore. E quando
The Sound of Silence
accompagna le ultime
testimonianze di quella radiosa stagione (fatta di cortei
antimilitaristi, di mani e persone che si stringevano attorno ad
un ideale comune) la nostalgia di un’utopia lontana prende corpo,
quei colpi esplosi da Shiran Shiran bruciano nella carne di una
generazione, oggi come allora. |
ezio leoni - La Difesa del Popolo 11 febbraio 2007 |
Ogni volta che una persona si batte per un'idea, agisce nell'intento di migliorare la situazione degli altri, o si scaglia contro un' ingiustizia, mette in moto sottili rivoli di speranza che, convergendo da mille sorgenti di energia e di coraggio, vanno a formare una corrente in grado di travolgere il più poderoso muro di oppressione e resistenza... |
R.F.K. |