Bobby
Emilio Estevez
- USA 2006 - 1h 54'

   Come riesce un film a rivelarsi “memorabile” pur senza essere un capolavoro? La forza evocativa del racconto può talvolta supplire ad alcune carenze di compattezza e ritmo, trasformare in commossa partecipazione anche il fluire esplicito della retorica. Così Bobby nel narrare la tragica notte che portò alla morte di Robert F. Kennedy, esibisce l’assunto di una commemorazione di ideali perduti, glissa sull’urgenza della tensione drammatica attraverso una vivace coreografia di personaggi comuni, si immerge nell’atmosfera del tempo facendo risuonare sullo schermo le musiche e le canzoni di quegli anni (da Donovan a Simon & Garfunkel, dai Los Bravos ai Moody Blues), le parole e la voce di un’utopia libertaria che si spense in quella notte tra il 5 il 6 giugno 1968.
Il regista Emilio Estevez è figlio di Martin Sheen (
Apocalypse Now, Wall Street) e fratello di Charlie (Platoon), vanta apprezzabili esperienze d’attore (I ragazzi della 56a strada, Breakfast Club) e ha vissuto da ragazzo (a sei anni) l’amara emozione di quella notizia che scosse l’America e il mondo intero. In seguito il padre lo condusse proprio sul luogo dell’evento, quell’Ambassador Hotel, ritrovo di celebrità (oggi raso al suolo), che era stato scelto dal senatore Bob Kennedy per festeggiare la sua vittoria nelle primarie presidenziali. Doveva essere la notte del trionfo, fu la notte più buia per la democrazia USA. A cinque anni dall’attentato di Dallas, a soli due mesi dall’assassinio di Martin Luther King, nel grande albergo di Los Angeles si consumò il dramma definitivo per un sogno americano che non seppe più ritrovare sostanza e protagonisti. Estevez riesce a ricreare lo spirito di quell’illusione nelle puzzle di situazioni e sentimenti che animano i personaggi del suo racconto: i camerieri e i cuochi (Laurence Fishburne) dell’Hotel in rotta col capo-cucine (Christian Slater) cinico e razzista, il direttore (William H. Macy) che deve scegliere tra l’amore della moglie (Sharon Stone) e le grazie delle giovane amante, il portiere in pensione (Anthony Hopkins) che stempera la sua solitudine giocando scacchi con un collega più anziano e amareggiato (Harry Belafonte), la cantante alcolizzata (Demi Moore) incapace di gestire se stessa e il suo matrimonio (nei panni del marito c’è Estevez stesso), il depresso wasp Martin Sheen con la insoddisfatta consorte (Helen Hunt), i due giovani collaboratori dello staff elettorale in stato confusionale per effetto dell’LSD, la reporter cecoslovacca alla disperata ricerca di un’intervista con il senatore, Diane e William (Elijah Wood) che si apprestano a sposarsi per evitare che lui debba partire per il Vietnam
Del vero protagonista c’è solo la presenza incombente, l’attesa del suo arrivo all’albergo, le immagini di repertorio che lo immortalano una volta di più nell’immaginario collettivo, i suoi discorsi - scevri del pragmatismo della politica, saturi di solidarietà e di speranza - che fanno da struggente colonna sonora, io-narrante di un’idealità che oggi pare dimenticata.

Per la coralità e l’intarsio del racconto il riferimento va certo a Grand Hotel (anche per la ricchezza del cast) e a Nashville (anche per il crudo epilogo), ma se Bobby non ha la scorrevole leggerezza del primo né l’arguta complessità del secondo, l’impatto emotivo che riesce a creare resta negli occhi e nel cuore. E quando The Sound of Silence accompagna le ultime testimonianze di quella radiosa stagione (fatta di cortei antimilitaristi, di mani e persone che si stringevano attorno ad un ideale comune) la nostalgia di un’utopia lontana prende corpo, quei colpi esplosi da Shiran Shiran bruciano nella carne di una generazione, oggi come allora.
Bob Kennedy osava denunciare il male della guerra, metteva in guardia la sua America dalla “china pericolosa” su cui scivolava, parlava del degrado di una nazione, di un povertà insostenibile; nelle sue parole c’era l’idea di un bene comune, la speranza per il futuro, il rifiuto della violenza… Il (suono del) silenzio che fece seguito a quella notte all’Ambassador Hotel lascia di nuovo sgomenti: grazie a
Bobby la voce di Kennedy risuona ancora una volta appassionata e incisiva, torna a far riflettere su diritti e valori irrinunciabili, riempie la schermo e sembra non volerci lasciare più.

ezio leoni - La Difesa del Popolo  11 febbraio 2007


Ogni volta che una persona si batte per un'idea, agisce nell'intento di migliorare la situazione degli altri, o si scaglia contro un' ingiustizia, mette in moto sottili rivoli di speranza che, convergendo da mille sorgenti di energia e di coraggio, vanno a formare una corrente in grado di travolgere il più poderoso muro di oppressione e resistenza...

R.F.K.