"L'orrore,
l'orrore..."
il Vietnam nel cinema americano anni '70
Il film
di guerra ha una sua florida tradizione, temprata dalla
campagna di propaganda americana per la seconda guerra mondiale (basta
il nome di Hawks), con sporadiche occhiate non acclamatorie (da
Westfront di Pabst e All'ovest
niente di nuovo di Milestone, entrambi del 1930, a
Uomini
contro di Francesco Rosi, 1970), un baluardo di lirismo
pacifista
(La grande illusione - Jean Renoir
1937) e molte esplosioni di eroismi, commozioni e lieti finì, manicheismi
spesso calcatissimi e kolossal produttivi da ascrivere nella storiografia
commercial-cinematografica. Personalmente del vecchio bagaglio hollywoodiano
della "war-opera" ricordo, sfuocato, con un vago affetto,
il mediocre All'inferno e ritorno
(1955) col pluridecorato Audie Murphy, poi assecondo inconsciamente
il mio antimilitarismo ormai svezzato con un nero buco di memoria
in cui riescono comunque a
farsi
luce "pezzi da novanta" quali Il
ponte sul fiume Kwai (DavidLean 1957),
I
cannoni di Navarone (Jack Lee Thompson 1961) e
Quella sporca dozzina (Robert Aldrich1967). Le mie competenze
belliche crescono però, decisamente, negli anni 70: inizia
Mash (Robert Altman1969) con l'ironia che sanguina dall'ospedale
militare Usa in Corea, avamposto convulso di morte e di scherzi, di
sesso e di solidarietà umana, mentre é ancora la seconda guerra mondiale
a fare da humus ad un film come
Comma 22
(Mike Nichols 1970) che carica ancor più introspettivamente ed istituzionalmente
il linguaggio metaforico di cui ci bombarda l'assurdità yossariana,
in cui «l'aeroporto militare diventa un microcosmo, la guerra uno
stato della mente e della coscienza»
1.
Love story per un reduce
Tornando
a casa (Hal Ashby, 1978 - oscar
78 per la migliore sceneggiatura originale) affronta invece
il problema all'interno della società americana, ponendo la sua attenzione
sulla situazione dei reduci, con il proposito di «ridefinire la
nozione di patriottismo e virilità». Sally (Jane Fonda), allorché
il marito (Bruce Dern), ufficiale di carriera, pane baldanzoso per
il Vietnam, trova opportuno fare qualcosa di più che un giornaletto
di propaganda militare con le sue "amiche del tea" e si
impegna come infermiera in un ospedale dove gli sfortunati, ex-gloriosi
soldati portano i segni evidenti dell'insana violenza della guerra
e si preparano a vivere il resto della loro vita prigionieri o di
una sedia a rotelle o degli scompensi del loro perduto equilibrio
mentale. Tra questi, Sally ritrova Luke Martin
(Jon Voight), suo vecchio compagno di scuola, una volta esuberante
giocatore di football, ora paralizzato dal bacino in giù. Tra il pietismo
dell'ambiente e l'acidità sociale di chi "ha capito" a proprie
spese (Luke per protesta si incatena al cancello di una base militare),
i due arrivano prima ad un profondo rapporto di amicizia e di comprensione,
quindi ad una passionale relazione d'amore, esaltata dalle invenzioni
erotiche con cui il paraplegico sopperisce alle proprie deficienze
fisiche (!). Quando Bob, il marito, torna a casa, viene informato
brutalmente del tradimento (l'FBI aveva pedinato Luke per i suoi atteggiamenti
"sovversivi') cosi che al trauma nazionale («alla
tv ti fanno vedere com'è, ma certo non ti fanno vedere
cos'è») si somma quello domestico ed il poveraccio dapprima minaccia
una strage, poi, anche se Sally gli ha promesso di rimanere al suo
fianco, sceglie di entrare nell'oceano per una nuotata senza ritorno.
Siamo di fronte ad un calderone di riflessioni, dal monito della realtà
sconvolgente della guerra ai risvolti umani del reinserimento, nel
quale Ashby, contando sul mestiere dei tre protagonisti (la Fonda-oscar
78 come attrice protagonista e
pure Jon Voight, premiato a Cannes
78 e con l'oscar
78 per quest'interpretazione),
innesta a suggello anche il problema della liberazione della donna.
Tutti gli spunti però si accavallano senza realizzarsi compiutamente,
i punti d'impegno si risolvono con banalità, la retorica si fa strada
e Tornando a casa nell'insieme
sa troppo di calcolo commerciale, con un ritmo soppesato tra silenzi
chiarificatori e dialoghi scontati, frasi sagge roboanti («noi
marines non siamo più la crema, siamo la feccia»... «volevo solo essere
un eroe») e lo stucchevole fotoromanzo che culmina nella parentesi
sexy del letto di Luke. Restano i soffici colori ed il taglio fotografico
di Haskell Wexler; l'atmosfera del commento musicale d'epoca (dai
Beatles ai Rolling Stones, dai Jefferson Airplane ad Hendrix e Dylan),
un po' di simpatia per lo squinternato Bob che scompare amaramente
tra i flutti (che pena, in confronto, il lacrimevole comizietto di
Luke che il montaggio ci propone in parallelo!) ed i dubbi sulla professionalità
artistica di Hal Ashby che, al rigore stilistico di
L'ultima corvée (1973), non é più riuscito a far seguire
lavori altrettanto calibrati (Shampoo
e Questa terra é la mia terra).
La roulette russa degli ideali Ecco
così Il cacciatore
(Michael Cimino, 1978: 5
oscar
nel 79:
miglior film, regia, attore non protagonista, montaggio e sonoro)
un'opera di grande impatto spettacolare, ora vicina ad uno stoico
melodramma, ora crudelmente realistica, che nel "grandguignol"
dei giochi di sangue lancia stimoli d'interpretazione politica e logica
esistenziale. La prima ora del film (il tutto supera le tre ore) si
sviluppa in una realtà quasi documentaristica, dagli abbacinanti forni
della fabbrica alle ritualità, religiose e non, della vita operaia
in una comunità russa degli States. Siamo agli inizi degli anni 70
e tre amici trascorrono gli ultimi giorni prima della fatidica partenza
per il Vietnam: Steven (John Savage) fa giusto in tempo a sposarsi
(il contorno del matrimonio é la struttura portante di questa parte
iniziale), Nick (Christopher Walken) promette il suo "si"
a Meryl Streep e Michael (Robert De Niro), che sotto sotto ama la
fidanzata dell'amico, organizza l'ultima battuta di caccia al cervo.
Non si rendono ben conto di cosa li
aspetti (solo Nick esterna qualche dubbio sul futuro comune: «Se
torniamo... voglio dire, quando torniamo...») e tutto il contesto
sociale che li attornia odora di una goliardica superficialità ideologica,
incrinata solo talvolta dagli strali individualistici di Mike («non
posso farci niente se la penso cosi») che accetta solo esternamente
la meschina familiarità di gruppo e che professa nella caccia uno
stile da"maniaco idealista" («il cervo non ha il fucile.
Deve essere preso con un colpo solo, altrimenti non è leale»).
"The End" per Willard e Kurtz Siamo
ancora nel '68 ed un filmetto a 16 mm, tipo documentario, dal titolo
Apocalypse now frulla nelle menti
di George Lucas e John Milius, studenti di cinema della University
of Southern California. Poi però Lucas avrà di che pensare per realizzare
film-record (d'invenzione e d'incassi) come
American Graffiti (1973) e Guerre
stellari (1977) e Milius,
pur con una rispettabile produzione registica (Dillinger
1973, Il vento e il leone 1975
e Un mercoledì da leoni 1978),
si farà un nome soprattutto come sceneggiatore di rango
7.
Intanto nel progetto é entrato Francis
Ford Coppola, che ha riorganizzato la trama ispirandosi
a Cuore di tenebra di Joseph Conrad
8,
si é assicurato la cosceneggiatura dello stesso Milius e porta nell'impresa
la saggezza registica di chi ha al suo attivo
Non torno a casa stasera (1969) e
La conversazione (1973) e le tasche pingui
9
di chi ha costruito quel colossal commerciale che é stato Il padrino,
parte prima (1971) e seconda (1974).
E ancora, nella cornice dei brani musicali (The End dei Doors ritorna anche in chiusura) l'apocalisse di Coppola si presta ad una lettura "acida": l'incubo d'apertura di Willard non ha fine, non smette di ossessionare. Il suo sogno orrendo continua per tutto il film (elicotteri ed esplosioni erano e restano gli elementi chiave), la camera di Saigon si dilata nel sottobosco cambogiano e nell'immagine filmica, che abbraccia gradualmente lo spettatore in un "trip" collettivo. Apocalypse Now non termina con l'inquadratura della motovedetta in rotta verso casa, ma con i bagliori devastatori (il bombardamento dei B-52 ordinato via radio) che fanno da sfondo ai titoli di coda. É questa la vera chiusura del film che disperde nel surreale l'esplosione dell'avamposto della coscienza. Quasi a concludere tragicamente il viaggio allucinato del Willard-americano medio o forse ad ironizzare sulle sfaccettature del cerebralismo dello stesso Coppola: più della verifica itinerante del singolo individuo vale la forza del potere istituzionalizzato nella violenza annullatrice del bombardamento a tappeto... Per l'orgasmo dell'intelletto e per l'opulenza di Hollywood. |
ezio leoni - CM 42 - secondo trimestre 1981 |
filmografia di 1970 Il padrone di casa |
filmografia di 1974 Una calibro 20 per lo specialista
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1963 Terrore alla tredicesima
ora |
1978 Tornando a casa | 1978 Il cacciatore | 1979 Apocalypse Now |
1979 Oltre il giardino 1981 Second-Hand Hearts 1982 Time Is on Your Side -The Rolling Stones 1985 La moglie del campione 1986 Otto milioni di modi per morire
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1980
I cancelli del cielo 1985 L'anno del dragone 1987 Il siciliano 1990 Ore disperate 1996 Verso il sole
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1982 Un sogno lungo un giorno 1983 I ragazzi della 56° strada 1983 Rusty il selvaggio 1984 Cotton club 1986 Peggy Sue si è sposata 1987 I giardini di pietra 1988 Tucker 1989 New York Stories - La vita senza Zoe 1990 Il Padrino - parte III 1992 Dracula di Bram Stoker 1996 Jack 1997 L'uomo della pioggia 2007 Un'altra giovinezza 2009 Segreti di famiglia |
NOTE [1] Franco La Polla, Il nuovo cinema americano - Marsilio, Venezia1978 [2] Dalton Trumbo, autore di E Johnny prese il fucile (1971), dichiarò, a proposito della prima guerra mondiale: «fu una guerra imbecille, risultato di una serie di incidenti causati da imbecilli», in intervista a L'humanité. [3] Volendo, anche l'Hair cinematografico (Milos Forman, 1979) andrebbe preso in esame, ma l'opera del regista cecoslovacco é da considerarsi una trasposizione nostalgica di una critica già espressa piuttosto che una nuova analisi del caso Vietnam. [4] Si é arrivati, a sproposito, a definirlo "film reazionario.., di destra" ed al Festival di Berlino 1979 la delegazione sovietica ed i suoi satelliti hanno ritirato i loro film riscontrando nel lavoro americano "un contenuto denigratorio del popolo vietnamita"... [5] Filmografia di Robert De Niro (New York, 1943): The WeddingParty e Greetings nel 1968, quindi HiMom! (1969), tutti per la regia di Brian De Palma. Poi Il clan dei Barker (Roger Corman, 1969) e, nel 1971, tre ruoli secondari in I maledetti figli dei fiori (Noel Black), La gang che non sapeva sparare (James Goldstone) e Il mio uomo è una canaglia (Ivan Passer). Ancora, Batte il tamburo lentamente (John Hancock, 1973), Mean Steets (Martin Scorsese, 1973), Il padrino parte II (Francis Ford Coppola,1974), Novecento (Bernardo Bertolucci, 1976), Taxi Driver (M.Scorsese, 1976), Gli ultimi fuochi (Elia Kazan, 1976), New York, NewYork (M. Scorsese, 1977), Il cacciatore (Michael Cimino, 1978) e Toro scatenato (M. Scorsese, 1980). [6] Soprannome dato dai marines ai Vietcong. [7] Il suo "script" maggiore, prima di Apocalypse Now, resta Corvo rosso non avrai il mio scalpo (Sydney Pollack, 1971), ma vanno ricordati anche L'uomo dai sette capestri (John Huston, 1972) e Una 44 Magnum per l'ispettore Callagan (Ted Post, 1973). La personalità di Milius é abbastanza complessa: certamente uomo di spicco della "New Hollywood" é comunque famoso per certi suoi aspetti quasi "reazionari" riscontrabili nel soggetto di "Callagan" (fu sua la stesura originaria anche del primo film della serie, Ispettore Callagan, il caso Scorpio é tuo di Don Siegel, 1971), nel suo amore per le armi, per un forte senso della "nostalgia" americana e di "curiose" dichiarazioni come «La guerra nel Vietnam non l'hanno persa i berretti verdi. Loro stavano per vincerla. La colpa é degli studenti e dei pacifisti» [8] La trasposizione di questo racconto breve del romanziere inglese era stata già progettata da Orson Welles negli anni 30. Poi l'idea fu accantonata e Welles passò alla realizzazione di Quarto potere. É da notare come la difficoltà di tradurre cinematograficamente l'opera di Conrad ne abbia tenuto lontano soggettisti e registi; l'ultimo, in ordine di tempo, a cimentarsi é stato l'inglese Ridley Scott col suo raffinato I duellanti (1977). [9] Le "tasche pingui" ci vorranno proprio! Alla fine gli investimenti nel film, per cui Coppola non ha voluto né modellini né truke, sono risultati di 3040 milioni di dollari. [10] Sono parole di Coppola che nella stessa intervista (Cannes 79) ha dichiarato: "Credevo di fare un film di guerra e a poco a poco il film si é fatto da sé, era la giungla a girarlo, era la nostra follia che a poco a poco ci prendeva tutti, era la paura. Agli inizi avevo pensato di fare un film sulla guerra del Vietnam come se non se ne fossero dovuti mai fare altri e avevo segnato ben duecento realtà diverse che poi sono riuscito a mettere nel film: i soldati drogati, i negri messi sempre in testa alle operazioni di guerra, la vita ricca degli ufficiali, i soldati di 16 anni, i massacri come quelli di Mai Lai, tutto. Poi, mentre lavoravamo, i riferimenti a Cuore di tenebra si sono fatti sempre più necessari, il viaggio fisico lungo il fiume é diventato un viaggio mentale, una ricerca sulle contraddizioni, sui concetti di moralità, di bene e di male, di verità e ipocrisia. E noi eravamo come un corpo di spedizione nella giungla... Anch'io ero a pezzi» (intervista concessa a Natalia Aspesi -Repubblica, 1979). [11] Innanzi tutto la presentazione del film come "work in progress" con una conclusione " da decidersi" ed un doppio finale: uno per la prima visione dell'elite cinematografica della "Croisette", uno, successivo, per la distribuzione mondiale. Poi é giunta, proprio alla fine del 79, la "rivelazione" della presidentessa della giuria di Cannes, Franqoise Sagan, secondo la quale vi sarebbero state pressioni per favorire il successo Usa. E va segnalata anche una voce "cattiva" sulla lavorazione di Apocalypse now: Coppola, nelle Filippine dove girava, avrebbe usato come "comparse" del suo film gli stessi elicotteri e truppe che poco prima avevano sterminato i villaggi ribelli. Pare che alcune volte siano arrivati sul set con nella carlinga i buchi "freschi di mitragliatrice". Quando si dice verismo... [12] Luigi Bini - Letture, 1979. [13] Alcuni versi da The End: «Questa é la fine, bella amica. Questa é la fine, mia sola amica, la fine dei nostri complicati piani, la fine di ogni cosa che esiste, la fine, nessuna sicurezza, nessuna sorpresa, la fine. Non guarderò più nei tuoi occhi. Riesci ad immaginare cosa accadrà, senza freni, liberi, disperatamente alla ricerca della mano di uno straniero in una terra di disperazione?...» (Jim Morrison,1967). [14] Alberto Arbasino, Se il Ciclope è Marlon Brando, su Repubblica,1979. |
1984
Urla del silenzio
- Roland Joffé |