da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro) |
Ancora lui, il grande scrittore di Colazione da Tiffany Truman Capote, punto di sutura letterario-snob tra Williams e Gore Vidal. Chissà se tra le sue «preghiere esaudite» c'era l'avere due film biografici: questo secondo brilla, scava nel profondo, ti prende psicologicamente al lazo ed è anche molto spiritoso e pieno di atmosfera. Racconta sempre la genesi del libro A sangue freddo, il complesso rapporto erotico-speculare con un killer (il rude Daniel Craig lo bacia in bocca, ma prima di diventare 007) e non risparmia veleni per la gay star dei cigni e dei vip della Manhattan ' 60, mentre con l' amica Harper Lee (Sandra Bullock), in lunghe pellicce e cappelli a tesa larga come Garbo, prima sconvolge e poi incanta la provincia del Kansas con i suoi cine-gossip (impagabile Jeff Daniels). Dai salotti alla cella, film atroce e mondano, che parla della fatica di creare e vivere. E Toby Jones è meraviglioso. |
da Il Messaggero (Fabio Ferzetti) |
Per un caso
bizzarro e a suo modo istruttivo, a meno di un anno dall'uscita del
magnifico
Capote
di Bennett Miller arriva sugli schermi un altro film ispirato alla stessa
storia. Ovvero a come Truman Capote concepì e poi scrisse il suo
capolavoro A sangue freddo. Come arrivò in Kansas con i suoi modi snob, la
vocetta impossibile, le sciarpe e i cappottoni da prima donna. Come
conquistò poco a poco la confidenza della gente del posto e del
procuratore che indagava sul quadruplice omicidio. Come
seppe sedurre
anche i due assassini, quando furono acciuffati, e soprattutto uno di
loro, Perry Smith (sullo schermo è Daniel Craig), col quale sviluppò un
rapporto così stretto da non escludere, pare, un autentico e problematico
amore reciproco. |
da La Stampa (Alessandra Levantesi) |
Come
Capote
di Bennett Miller,
Infamous
di Douglas McGrath si
focalizza sui sette anni della stesura di
A sangue freddo
(1966), il romanzo cronachistico ispirato a un'efferata strage avvenuta in
una fattoria del Kansas nel '59, che per Truman Capote (1924-1984)
rappresentò l'acme del successo e insieme la dannazione. A dispetto della
singolare coincidenza, i due film sono assai differenti e hanno indotto
all'Inevitabile confronto: meglio il
Capote
incarnato da Philip Seymour Hoffman, non a caso recipiente dell'Oscar per
la sua interiorizzata perfomance? O la più realistica, caratterizzata
personificazione dell'inglese Tobey Jones, che mette in evidenza anche gli
aspetti meno nobili del personaggio, brillante uomo di società, gran
pettegolo e confidente privilegiato delle signore del bel mondo? Anche se
non pochi critici americani, ritenendolo più raffinato e misterioso, hanno
votato a favore di Capote,
a noi sembra che, entrambi ottimi, questi biopic siano la dimostrazione
che ogni storia può essere raccontata in svariati modi e tutti
convincenti. |
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TORRESINO gennaio
2007