Due
uomini salgono un pendio roccioso, a piedi nudi, con un sasso in
bocca. La macchina da presa li accompagna stando loro addosso, stretta
sui loro volti, quasi disinteressata al paesaggio circostante avvolto
dalla bruma. Anche quando raggiungono la croce votiva ai cui piedi
depositano le pietre striate di sangue, l’inquadratura non osa
allargarsi, resta ancorata ad una realtà immanente, in cui il dubbio
che accompagna padre e figlio (partire o restare?) non può trovare
risposta nel silenzio divino, ma solo nelle coincidenze del vivere
quotidiano. L’emigrazione è vista in
Nuovomondo
di Emanuele Crialese
come una dolorosa svolta di civiltà piuttosto che
come un dramma sociale. La famiglia Mancuso (Salvatore, vedovo, con i
figli Angelo e Pietro – muto – e la vecchia madre, Donna Fortunata)
che agli inizi del '900 decide di lasciare la Sicilia alla volta
dell’America, osa dire addio ad un medioevo ancestrale, protesa verso
una modernità che non può che abbracciare il sogno profondo di una
metamorfosi esistenziale: su Salvatore (Vincenzo Amato), che arriva a
"seppellirsi" per osteggiare
la restia ostinazione della madre, cade una pioggia di tintinnanti
monete; circola voce che nel nuovo mondo scorrano fiumi di latte,
alcune foto danno spazio ad una tensione onirica in cui il miraggio
dell’abbondanza prende la forma di carote ed olive gigantesche.
Al
momento della partenza entra in gioco un nuovo personaggio, Lucy
(Charlotte Gainsburg), una ragazza di origini inglesi, anch’essa in
balia di un processo migratorio incombente, e che la sorte sembra
voler affidare al futuro dei Mancuso (esemplare la sua entrata in
quadro mentre, sullo sfondo, un fondale dipinto fa da cornice ad una
foto ricordo della famiglia).
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E quando la nave si allontana dal molo
Nuovomondo
acquista un respiro di memorabile intensità: l’inquadratura dall’alto
immortala lo “spezzarsi” della folla, evidenziando l’inesorabile
lacerazione di un popolo. La ricerca formale di Crialese può apparire
talvolta ingenua o leziosa, ma la forza delle immagini con cui compone
il suo racconto rendono ragione di un affabulare poetico che vuole
toccare fino in fondo l’emozione del pubblico.
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Durante il viaggio lo scoppiare di una tempesta contraddice ogni
spettacolarità di rito; i passeggeri vengono sballottati dalla furia
degli elementi ma tutto viene vissuto sottocoperta, dove i corpi si
ammassano l’uno sull’altro con la sofferenza di un’angusta precarietà,
in balia dell’oceano e del destino.
L’arrivo ad Ellis Island ribadisce una coerenza stilistica tesa a
rappresentare l’incertezza di una scelta di vita che sa di non potersi
risparmiare sofferenze e umiliazioni. In quei locali dove ogni
concretezza del domani sembra preclusa (i vetri sono offuscati e
occorre arrampicarsi per intravedere palazzi e grattacieli), gli
emigranti vengono sottoposti a viste mediche ed esami attitudinali col
puntiglio di chi considera pericolose la diversità, la non perfetta
integrità fisica, l’apparente limitatezza del quoziente intellettivo
(il modo con cui Salvatore supera il test ha la radiosa semplicità di
una non omologazione creativa!). Crialese mostra l’imbarazzante
trafila con cui si combinano i matrimoni scevri di ogni sentimento,
tiene in sospeso fino all’ultimo l’incontro rasserenante tra Lucy e
Salvatore, fa brillare una scintilla di imprevedibilità nel risolvere
la vicenda di Donna Fortunata e di Pietro; si abbandona infine, come
in
Respiro,
ad un abbraccio immaginifico di abbacinate soavità immergendo i suoi
personaggi nel mare di latte con cui la provvida madre America
accoglie i suoi nuovi figli.
Dedicato a chi ha fiducia più nella sensibilità del cinema che
nell’efficacia della Bossi-Fini.