La
presenza di
Exiled,
l’ultimo film di
Johnnie To
, in concorso alla Mostra è la
consacrazione, anche in Italia, di un grande autore. Forse un po’
tardiva (To è attivo fin dagli anni ’80) ma di certo inderogabile e
perentoria. Specialista in polizieschi nella sua Hong Kong, nel corso
degli ultimi anni ha sviluppato una serie di progetti meno commerciali
che l’hanno portato ad un apprezzamento e riconoscimento anche in
Occidente.
Exiled
(Esiliati) è un film corposo che scorre via leggero, divertente,
romantico, nostalgico, preciso, imprevedibile. Protagonisti un gruppo
di amici, stanchi e disillusi killer, errabondi a Macao, 1998, anno di
transizione della colonia portoghese al governo cinese. Esiliati,
appunto, dalla vicina Hong Kong, pronti ad aiutare l’amico con moglie
e figlio appena nato. Il set della città che sta cambiando, e il
malessere che ne consegue, non sono casuali in questa storia, che si
complica all’arrivo di due ex-compagni killer mandati a prelevare il
rinnegato deciso a cambiare vita. Tutto è costruito con sapienza:
l’inquadratura e le angolazioni, mai banali e geometricamente perfette
e coerenti con lo spazio e l’architettura circostanti; le posizioni
degli attori e l’intreccio degli sguardi che ne scaturiscono, tesi a
formare traiettorie riflettenti, accerchianti, claustrofobiche o di
fuga; la necessità e il dovere della scelta (nodo fondante su cui
ruota tutto il film), vengono sdrammatizzati nella loro totale e
contingente fatalità. Perché c’è un destino epico nel vagare e nei
valori dei nostri eroi moderni e metropolitani, per le vie di una
Macao che si fa terra di confini e speranze, che ci conduce
direttamente ad atmosfere così lontane e contrapposte come quelle del
western. A tutti gli effetti Johnnie To mette in scena l’apologia di
un genere, ricreandone e sintetizzandone i contenuti e i significanti
in chiave – apparentemente, certo – moderna, ma con quella nostalgia
per qualcosa che se n’è andato irrimediabilmente. L’amicizia virile, e
prima ancora l’amicizia come valore portante tra gli uomini: il
conflitto nasce proprio dalla rottura di un ordine prestabilito
(eseguire gli ordini o seguire il cuore?) e porterà ad una risoluzione
attraverso un percorse dolente scardinato e scandito da tappe
memorabili. Tappe che si abbattono con scariche improvvise di
caricatori che tanto ricordano il cinema di Sam Peckinpah, ma anche
Sergio Leone,
Samuel Fuller, senza però virtuosismi inutili o ricalcando una
maniera. Memorabile lo scontro tra le due gang dentro un appartamento
adibito a sala operatoria clandestina, proprio durante un intervento,
tutto teso su un imminente e probabile scoppio di violenza; l’assalto
al furgone portavalori carico d’oro (elemento tematico non casuale…);
l’elegiaca sfida finale, odierno Mucchio Selvaggio; il ricordo
rievocato dalle fotografie. “Lo stato di esilio deve essere un
allontanamento volontario, alla ricerca di un ideale più alto. Questo
è probabilmente un sentimento romantico che si scontra con il cinico
mondo d’oggi, eppure è ciò che ci rende umani”. Ed è questa forte
umanità l’elemento che caratterizza più di tutti il film di Johnnie To.
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