Proprietà privata
(Nue propriété) |
Isabelle Huppert è da sempre garanzia di qualità. Ancora una volta, mette tutta la sua bravura nell’interpretazione della madre protagonista di Nue propriété, del belga Joachim Lafosse, trentenne talentuoso al suo secondo lungometraggio. Tutto il film si regge sulla capacità della Huppert di rendere tutta la gamma di sfumature del suo ruolo, una donna divorziata e sola, con a carico due gemelli ventenni non autosufficienti, e nel riuscire ad esprimere la volontà di uscire da una routine consolidata all’interno delle mura domestiche, fatta di litigi con l’ex marito, le angosce di una nuova relazione con un uomo che la vuole tutta per sé e i figli che possessivamente non possono fare a meno di lei. La dedica iniziale del film dice: “Ai nostri limiti”, ed è appunto un percorso di tensione verso un punto di rottura che l’autore intende tracciare con questo film casalingo e intimista dalla costruzione lineare. Un percorso difficile di scontro con la volontà dei sentimenti, dei legami familiari, e verso cui ognuno deve fare i conti. Come dice lo stesso regista, il film è “l’esplosione di un mondo chiuso, dove la violenza è la conseguenza di un divorzio incompiuto, e la rivalità dei figli gemelli è lo specchio della rivalità irrisolta dei genitori”. Formalmente siamo dalle parti dei Dardenne: la grana dell’immagine, i colori sbiaditi, la campagna, la predominanza dei volti e della vita quotidiana, il protagonista maschile Jérémie Renier (assieme al fratello, non gemello, Yannick), lo spessore psicologico e la definizione dei personaggi. Tutto è però più impenetrabile, non c’è frenesia e fretta, solo dolenti sospiri in lunghi piani sequenza, fatti di discussioni, lacrime, grida e pensieri che rotolano e si spezzano come un possibile futuro della casa che li contiene. Come un percorso psicoterapeutico condensato, la madre si slega dai propri rapporti malati, che costituisco la sua proprietà, e lascia al loro destino tutti i suoi uomini – inetti, lontani, vili e insicuri – in favore della libertà e della salvaguardia della propria persona. “Al di là della sua dimensione distruttrice, la violenza che i personaggi si trovano ad affrontare permetterà loro di prendere coscienza dei legami che li uniscono. Ciascuno potrà così riconsiderare la famiglia non più come una prigione, bensì come un luogo aperto di circolazione e di movimento”. |
Alessandro Tognolo - MC magazine 18 ottobre 2006 |
|
LUX marzo 2007
TORRESINO marzo
2007