Death of a President
Gabriel Range - Gran Bretagna 2006 - 1h 30'


sito ufficiale

da Liberazione (Boris Sollazzo)

        «Non c'è onore nel morire per una causa immorale e per delle menzogne». È la battuta chiave – e per questo non sveleremo chi la dice, né perché - del film più sorprendente di questo inizio 2007. E, forse, degli ultimi anni. Morte di un presidente, del giovane regista britannico Gabriel Range osa lì dove volano le aquile, quelle dei minacciosi vessilli statunitensi. Come Peter Watkins più di quarant'anni fa, in The War Game, raccontava le conseguenze di un attacco atomico all'Inghilterra, con lo stesso sfrontato coraggio lui mette in scena l'omicidio di George Walker Bush. Questo mockumentary, o come lo definiscono i detrattori fakumentary (il gioco di parole è tra mock, presa in giro e fake, falso) è un brillante esempio di ucronìa, di come la realtà potrebbe essere se un certo evento intervenisse a modificarla. Un fantarealismo in cui, a suo modo, anche Alfonso Cuaròn si è cimentato, con il suo I figli degli uomini. Ma questo lavoro è ancora più potente e feroce. Mischia fiction e immagini di repertorio (10 minuti), mostrandoci l'incredibile possibilità di manipolazione a cui siamo sottoposti. Qui vediamo Cheney in una dura e appassionata orazione funebre per Bush. Una scena vera del funerale di stato di Ronald Reagan: il montaggio audio e video ha cambiato solo pochi secondi e poche parole. E l'attentato a Bush è falso solo perché siamo a marzo e l'altro ieri lo abbiamo visto parlare al Congresso. La fantascienza politica di questo sornione cineasta ci mostra qualcosa che è già successo. Il 19 ottobre 2007, secondo il lucido visionario Range, muore, o meglio morirà, il presidente degli Stati Uniti (ufficialmente sarebbe il quinto, dopo Lincoln, McKinley, JFK film precedente in archivio e contando anche Bob Kennedy film precedente in archivio, che lo sarebbe diventato). Un fucile di alta precisione lo colpisce a morte, dopo una visita in un'infiammata Chicago, in balia di proteste pacifiste e di classe. Urla, pianti, proteste lo investono fuori, nelle strade. Applausi, risate, affetto all'interno di una sala convegni in cui un simpatico Bush tiene banco e affascina gli alti papaveri della città. Genova, Seattle, Goteborg non sembrano diverse. Da questo evento traumatico nasce un'ipotetica indagine, raccontata con rigore, bravura e profondità di analisi, che ci mostra l'America di oggi. Ideali democratici inquinati, forse irreparabilmente, dalla guerra al terrore. Senza alcuna forzatura, arriviamo alla soluzione più dolorosa di questo thriller, tanto inaspettata quanto probabile.
Se Michael Moore
film precedente in archivio urla e sbraita nella sua adorabile faziosità, Range si impone un'oggettività che sconvolge, che rende dirompente quest'opera. Perché scoprire di essere arrivati al punto di non ritorno provando simpatia e comprensione per Bush è sconvolgente. Perché sappiamo che la reazione di Dick Cheney dopo la morte di Bush, è qualcosa che abbiamo già visto dopo l'11 settembre . Non a caso l'ipotetico varo di nuove misure di restrizione delle libertà individuali, e non solo, qui viene chiamato Patriot Act III. Perché il tentativo del cinico presidente vicario di sfruttare in chiave antisiriana l'attentato all'amico e predecessore ricorda Lyndon Johnson, ma ancora di più la guerra in Iraq. Per questo negli Usa le 600 sale previste sono diventate 90. Per questo le 70 copie che Lucky Red distrisce in Italia sono il risultato dell'ostracismo del 30% degli esercenti. Un film straordinario, cinematograficamente e politicamente: ci mostra i nostri pregiudizi consolidati dalle menzogne, che ci fanno accettare senza colpo ferire guerre giuste e preventive. Un tragico capolavoro.

da Il Messaggero (Fabio Ferzetti)

        Che cosa accadrebbe se un folle uccidesse Bush? E' la domanda da cui parte il finto documentario di Gabriel Range crocefisso per via di un manifesto provocatorio. Il macabro manifesto infatti si presta ad equivoci, il film no. L'assassinio si consuma in un lampo dopo un comizio a Chicago, nessuno esulta o si dispera, vediamo proprio ciò che vedremmo se qualcosa di simile accadesse, nello stile sussiegoso esibito dalle tv in queste occasioni. Parlano i testimoni e lo staff del presidente, la ghostwriter che scriveva i discorsi, i militari, gli uomini dell'Fbi: tutti finti ma più veri del vero, con effetto abbastanza inquietante. Ma Death of a President mostra anche l'immediata manovra per trovare, o meglio "fabbricare" il colpevole ideale mettendo in mezzo il babau di turno, ovvero la Siria. Mostra Cheney dar vita a qualcosa che sa poco di giustizia e molto di manipolazione dell'opinione pubblica. Mostra insomma la spregiudicatezza di certa politica (in filigrana c'è il modo in cui Bush ha "usato" l'11 settembre per fare la guerra). E smonta, ricostruendole sotto i nostri occhi, le mille manipolazioni cui è soggetta quella che ingenuamente chiamiamo "informazione". Un film sofisticato insomma, che mescolando vero e finto in varie proporzioni esige spettatori agguerriti. Ma è tutto fuorché facile o gratuito.

 

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Che cosa accadrebbe se un folle uccidesse Bush? E' la domanda da cui parte il finto documentario di Gabriel Range, crocefisso per via di un manifesto provocatorio. Il macabro manifesto infatti si presta ad equivoci, il film no. L'assassinio si consuma in un lampo dopo un comizio a Chicago, nessuno esulta o si dispera, vediamo proprio ciò che vedremmo se qualcosa di simile accadesse, nello stile sussiegoso esibito dalle tv in queste occasioni... Morte di un presidente si rivela un pretesto per mostrare la spregiudicatezza di certa politica e smontare, ricostruendole sotto i nostri occhi, le mille manipolazioni cui è soggetta quella che ingenuamente chiamiamo "informazione". Un film sofisticato, che mescolando vero e finto in varie proporzioni esige spettatori agguerriti. Ma è tutto fuorché facile o gratuito.

TORRESINO marzo-aprile 2007
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