da Liberazione (Boris Sollazzo) |
«Non
c'è onore nel morire per una causa immorale e per delle menzogne». È
la battuta chiave – e per questo non sveleremo chi la dice, né perché -
del film più sorprendente di questo inizio 2007. E, forse, degli ultimi
anni.
Morte di un presidente,
del giovane regista britannico Gabriel Range osa lì dove volano le aquile,
quelle dei minacciosi vessilli statunitensi. Come Peter Watkins più di
quarant'anni fa, in
The War Game, raccontava le conseguenze
di un attacco atomico all'Inghilterra, con lo stesso sfrontato coraggio
lui mette in scena l'omicidio di George Walker Bush. Questo mockumentary,
o come lo definiscono i detrattori fakumentary (il gioco di parole è tra
mock, presa in giro e fake, falso) è un brillante esempio di ucronìa, di
come la realtà potrebbe essere se un certo evento intervenisse a
modificarla. Un fantarealismo in cui, a suo modo, anche Alfonso Cuaròn si
è cimentato, con il suo
I figli degli uomini. Ma questo
lavoro è ancora più potente e feroce. Mischia fiction e immagini di
repertorio (10 minuti), mostrandoci l'incredibile possibilità di
manipolazione a cui siamo sottoposti. Qui vediamo Cheney in una dura e
appassionata orazione funebre per Bush. Una scena vera del funerale di
stato di Ronald Reagan: il montaggio audio e video ha cambiato solo pochi
secondi e poche parole. E l'attentato a Bush è falso solo perché siamo a
marzo e l'altro ieri lo abbiamo visto parlare al Congresso. La
fantascienza politica di questo sornione cineasta ci mostra qualcosa che è
già successo. Il 19 ottobre 2007, secondo il lucido visionario Range,
muore, o meglio morirà, il presidente degli Stati Uniti (ufficialmente
sarebbe il quinto, dopo Lincoln, McKinley, JFK
e contando anche Bob
Kennedy
, che lo sarebbe diventato). Un fucile di alta precisione lo
colpisce a morte, dopo una visita in un'infiammata Chicago, in balia di
proteste pacifiste e di classe. Urla, pianti, proteste lo investono fuori,
nelle strade. Applausi, risate, affetto all'interno di una sala convegni
in cui un simpatico Bush tiene banco e affascina gli alti papaveri della
città. Genova, Seattle, Goteborg non sembrano diverse. Da questo evento
traumatico nasce un'ipotetica indagine, raccontata con rigore, bravura e
profondità di analisi, che ci mostra l'America di oggi. Ideali democratici
inquinati, forse irreparabilmente, dalla guerra al terrore. Senza alcuna
forzatura, arriviamo alla soluzione più dolorosa di questo thriller, tanto
inaspettata quanto probabile. |
da Il Messaggero (Fabio Ferzetti) |
Che cosa accadrebbe se un folle uccidesse Bush? E' la domanda da cui parte il finto documentario di Gabriel Range crocefisso per via di un manifesto provocatorio. Il macabro manifesto infatti si presta ad equivoci, il film no. L'assassinio si consuma in un lampo dopo un comizio a Chicago, nessuno esulta o si dispera, vediamo proprio ciò che vedremmo se qualcosa di simile accadesse, nello stile sussiegoso esibito dalle tv in queste occasioni. Parlano i testimoni e lo staff del presidente, la ghostwriter che scriveva i discorsi, i militari, gli uomini dell'Fbi: tutti finti ma più veri del vero, con effetto abbastanza inquietante. Ma Death of a President mostra anche l'immediata manovra per trovare, o meglio "fabbricare" il colpevole ideale mettendo in mezzo il babau di turno, ovvero la Siria. Mostra Cheney dar vita a qualcosa che sa poco di giustizia e molto di manipolazione dell'opinione pubblica. Mostra insomma la spregiudicatezza di certa politica (in filigrana c'è il modo in cui Bush ha "usato" l'11 settembre per fare la guerra). E smonta, ricostruendole sotto i nostri occhi, le mille manipolazioni cui è soggetta quella che ingenuamente chiamiamo "informazione". Un film sofisticato insomma, che mescolando vero e finto in varie proporzioni esige spettatori agguerriti. Ma è tutto fuorché facile o gratuito. |
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TORRESINO marzo-aprile
2007