La stanza del figlio
Nanni Moretti - Italia 2001 - 1h 39'

  

   Il lutto come esercizio di stile. Con La stanza del figlio Nanni Moretti devia dal suo abituale percorso autobiografico-sociale, sempre al limite del paradosso tra riflessioni generazionali e moralismi civili, e punta deciso ad un'analisi esistenziale placida e profonda, che parte dalle banalità del quotidiano familiare (con solo scarni accenni di "morettismo") per approdare ad una situazione di estrema angoscia. In casa - Giovanni, padre psicanalista (Moretti), Paola, madre editrice (Laura Morante, sempre intensa) - il rapporto con i figli Andrea e Irene (Giuseppe Sanfelice e Jasmine Trinca, entrambi bravissimi) è sereno, di reciproca fiducia e affabilità (tutti insieme, in macchina cantano Insieme a te non ci sto più…). I casuali problemi scolastici, sportivi, relazionali sono risolti con amabile compartecipazione e le uniche tensioni che emergono nella prima parte del film sono quelle della "stanza del padre", raccolte dal terapeuta in seduta coi suoi pazienti. Quando la tragedia irrompe (Andrea annega durante una gita domenicale con gli amici sub) la maturazione registica di Moretti film successivo in archivio è evidente: l'abbraccio comune nella disperazione alla notizia, la terribile solitudine interiore al momento della chiusura della bara, l'incapacità di trovare una comunanza nel dolore in una famiglia pur abitualmente unita sono rappresentati con sobria, toccante lucidità. C'è il tarlo di rivisitazione e rimorso che assilla il padre (se quella domenica non fosse andato da quel "maledetto" paziente…), il nervosismo a fior di pelle di Irene, l'urlo intimo e straziante, a fatica soffocato, della madre. E la chiave di volta per una ritrovata armonia sta proprio nella tensione non doma di Paola verso il recupero indotto di un altro affetto perduto: l'accenno di una storia d'amore che è rimasta nel cuore di un'amica di Andrea, Arianna, diventa vero filo di Arianna per ritrovare la voglia di vivere, per riprendere il contatto col figlio nel sorriso del ricordo, per "rientrare" amorevolmente nella sua stanza (le foto portate da Arianna), per cogliere l'occasione per una gita "oltre confine" (da Ancona alla Costa Azzurra). Non c'è ancora, certo, la forza liberatoria di canticchiare la Caselli, ma il camminare insieme, se pur solitari, sulla spiaggia di un "altro mare" ha un'esplicita valenza taumaturgica. Traspare, ne La stanza del figlio, un'elegia della sofferenza interiore, della veglia laica di una famiglia al capezzale del proprio sconvolgimento che non può non lasciare indifferenti e che dà piena consapevolezza di come il cinema di Nanni Moretti sia da sempre un veicolo di riflessione, approfondimento e cultura, troppe volte sottovalutato da non addetti ai lavori. Eppure proprio in questo raggiunto stato di grazia, fuori dalle idiosincrasie personali e dalla autorialità eccentrica, il respiro del Moretti-pensiero sembra avere il fiato corto. O meglio, il pathos di una tragedia così grande e assurda (un incubo forse consequenziale per l'entusiasta regista-papà di Aprile), raggiunto l'apice in quell'abbraccio familiare e nello sfogo contro le stoviglie sbeccate e la "cazzata" del brano evangelico ("se il padrone da casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa"), resta poi come sospeso nel pudore di un dramma in cui la satira morettiana non è praticabile e l'abituale verbosità, di solito cadenzata al ritmo di massime-nonsense, è qui incanalata nello standardizzato blaterare sul lettino dello psicanalista. L'ironia di Allen e l'utopia di Mumford non hanno lasciato un segno? Le confessioni dei pazienti del dott. Giovanni saranno anche credibili, ma si risolvono in un fastidioso tarlo narrativo che alla lunga non convince e mina l'escalation identificativa. Fortunatamente non esperto, non coinvolto in un evento così sopra le righe del suo abituale tran-tran esistenziale, Nanni Moretti costruisce uno splendido teorema stilistico in cui mette la sua anima di autore, ma a cui manca lo spirito efficace della testimonianza vissuta. Un'esercitazione formale impeccabile, un trattato estetico sulla lacerazione della morte, un film sospeso alle porte dell'emozione.

ezio leoni - La Difesa del Popolo - 1 aprile 2001

  TORRESINO ALL'APERTO! giugno-agosto 2001