“I'm Ready, My lord” (Sono
pronto, mio signore) aveva appena cantato
Leonard
Cohen
in You Want It Darker, brano d'apertura
dell'omonimo ultimo album. “Ci vediamo lungo la
strada” era stato il saluto a Marianne Ihlen
scomparsa ad agosto; ma la serena consapevolezza del
nostro umano destino non era legata per Cohen
all'incombenza dell'età. Il suo rapporto con la morte ha
sempre trovato voce, indirettamente, nel sue
“dichiarazioni” di profonda spiritualità. Che fosse nel
confronto angoscioso con un padre misericordioso solo in
extremis (Story of Isaac) o nel riferimento
liturgico di Who by Fire, o che si esprimesse nei
radiosi versi dell'inno Halleluia o nella
testimonianza della parentesi buddista, il senso del
divino andava in Leonard di pari passo con l'emozione
dell'amore: la pacata ammirazione per Suzanne, la
travolgente passione di So Long, Marianne, le
nostalgiche considerazioni sentimentali di Hey, That's
No Way to Say Goodbye... Canzoni/poesie queste tre
contenute nel primo fantastico LP, Songs of Leonard Cohen,
pubblicato nel 1967. Da allora Cohen ci ha fatto
riflettere sulle profondità del cuore (Ain't No Cure
For Love, A Thousand Kisses Deep), sul vuoto
dell'abbandono (Famous Blue Raincoat, Alexandra Leaving), sulle
responsabilità del condividere in coppia (The Gipsy
Wife, I'm Your Man), sulle vergogne
dell'ingiustizia sociale (Everybody Knows,
Tower of Song, The Land of Plenty) e
sull'inesorabile violenza del presente (The Future),
sulla leggerezza del ritmo poetico (Take this Waltz)...
Ora ci ha lasciati, partecipi di un patto (Treaty)
dal quale nella vita non possiamo esimerci, orfani di un
universo musicale e poetico unico, irripetibile,
indimenticabile
.
Valgano, di estremo commiato, le parole del figlio
“Penso alla miscela unica di mio padre di
auto-disapprovazione e dignità, alla sua eleganza
accessibile, al suo carisma senza audacia, alla sua
galanteria d'altri tempi”.
So long, Leonard. |
ezio leoni |