Denis
Villeneuve è uno di quei registi che si discostano sapientemente dai
generi, riuscendo a svincolarsi dagli stilemi preconfezionati del
cinema hollywoodiano. Una firma, quella del regista canadese, capace
di confezionare successi di pubblico e critica grazie ad un'attenzione
per la forma e il dettaglio che l'hanno più spesso e facilmente fatto
accostare a David Fincher. E dopo drammi controversi come
La donna che
canta e
Prisoners, un'incursione tesissima nel mondo del narcotraffico
in Sicario, passando per il thriller psicologico
Enemy, con
Arrival
passa infine anche il confronto con la fantascienza – in attesa del
progetto sul nuovo Blade Runner.
Nel mezzo c'è il dramma della donna per la perdita prematura della figlia, ma il tempo non è evidentemente qualcosa di razionale, ne semmai lineare come preferibilmente lo interpretiamo, lo orchestra invece il regista col montaggio. E mentre la tensione è tesa verso una catastrofe imminente, una guerra mondiale dettata (come sempre?) dalla mancata comprensione delle altrui ragioni, lo spettatore, smarrito in una dimensione temporale di cui non conosce le coordinate, al pari Louise è costretto a un gioco di lettura e interpretazione dei segni e della grammatica, questa volta del cinema. Se infatti il bellissimo Gravity di Alfonso Cuarón permetteva una profonda e complessa riflessione sullo spazio (scenico) decostruendo i confini dello schermo cinematografico, in Arrival il semplice quesito “e se arrivassero gli alieni?” si fa pretesto per riflessioni estetiche e semiologiche ben più complesse.
In questo senso il film di Villeneuve risulta anche più riuscito probabilmente di un Interstellar (l'accostamento è immediato per genere e tematiche) poiché la sua cinefilia schiva i sentimentalismi e la retorica della fantascienza esplicativa di Nolan. La mano di Villeneuve è solida e classica, preferisce togliere il superfluo piuttosto che aggiungere orpelli (la cura del dettaglio si vede anche nella rinnovata collaborazione con la casa canadese di post-produzione Oblique FX, che già in Sicario aveva dimostrato una precisione straordinaria nella cura degli effetti speciali, invisibili all'occhio ma di fatto finemente elaborati). Qui la fantascienza è uno spunto che permette di decifrare il presente attraverso una proiezione nel futuro. I ricordi si fondono al presente e dopo una spirale narrativa complessa e maniacalmente disegnata, il messaggio si rivela finalmente chiaro e leggibile, privo della presunzione di spiegare ciò che ancora non conosciamo. Il senso dimora nel ricordo e il linguaggio è lo strumento essenziale non solo per la pace e la comprensione, ma per l'evoluzione.
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Valentina Torresan - novembre 2016 - pubblicato su MCmagazine 41 |