Singing in the
Graveyard |
VENEZIA 73 SETTIMANA DELLA CRITICA |
La vivacità del cinema filippino è purtroppo quasi completamente sconosciuta al pubblico italiano. I numerosi premi assegnati ad autori ormai riconosciuti come Brillante Mendoza e Lav Diaz – Leone d'Oro a Venezia proprio quest'anno per il travolgente The Woman Who Left - permettono certo di indirizzare quantomeno un briciolo di curiosità verso quei territori. Ciò che si va a perdere è però una fetta consistente di cinema popolare che risulta sempre, ad ogni nuova visione, sorprendentemente variopinto e indecifrabile per varietà di idee e stili. Si tratta di un cinema più spesso povero ma che sopperisce alla mancanza di mezzi con piglio anarchico e traboccante di fantasia. Singing in the Graveyard è esattamente uno di questi film. Il film è stato presentato nel cartellone della Settimana della Critica della 73esima Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, e vede l'esordio alla regia di Bradley Liew che sul set e sul palco per l'anteprima del suo film è stato accompagnato proprio dall'instancabile Lav Diaz.
Ciò che si potrebbe riconoscere come comune necessità dei film filippini che i festival (non va dimenticato il Far East di Udine) ci permettono di vedere è il medesimo sforzo di raccontare un territorio complesso come quello delle Filippine. Più di 7mila isole compongo l'arcipelago, centinaia di migliaia di persone di differenti etnie, culture e religioni. Eppure i volti che popolano i film rimangono indelebili nella mente dello spettatore e il cinema ridefinisce uniche le loro storie. Singing in the Graveyard quindi rende omaggio a uno dei protagonisti della scena rock filippina, Joey Smith. Anzi no, il film parla del suo imitatore Pepe che finalmente ha l'occasione di aprire un concerto del suo idolo. Ecco il cortocircuito in cui si gioca l'essenza della pellcola: Bradley Liew prende il vero Joey Smith, il divo, la leggenda, è gli chiede di interpretare il suo cover-man, oltre che se stesso. E Pepe vaga senza soluzione per le strade della città, è una figura tragica che entra ed esce dalle stanze della sua casa, prova a scrivere una canzone d'amore ma non si riconosce mai; o è forse Joey a non ricordare più? Pepe un fantasma rimasto solo con scheletri che che lo tormentano; così quello da idolatrare e il qualcuno dimenticato si rubano la scena di un film brillante, ieratico e toccante che non lascia respiro. L'operazione è simile a quella del mockumentary Six Degrees of Separation From Lilia Cuntapay, sebbene con soluzioni narrative differenti, nel celebrare in modo inconsueto personalità dello stravagante star system filippino che, per fortuna, la memoria cinema renderà immortali.
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Valentina Torresan - novembre 2016 - pubblicato su MCmagazine 41 |