Une vie
è una dichiarazione d’amore. Non solo nei confronti di un romanzo,
quello omonimo di Guy de Maupassant, di cui il film è l’adattamento. È soprattutto una dichiarazione di fede del regista Stéphane Brizé in
un modo di raccontare e nella sua valenza conoscitiva.
Il film colpisce subito per le scelte stilistiche del regista,
enfatizzate, rispetto al precedente
La legge del mercato, dal genere
film in costume. Innanzitutto con la scelta del formato 4/3 vi è
subito una evidenziazione della messa in quadro, che abbassa
l’illusione referenziale. Il tipo di inquadrature poi (strette, ma di
profilo o a mezzo busto) impone allo spettatore una grande vicinanza
ai personaggi, negandogli però l’identificazione con il loro sguardo.
Questo modifica il rapporto che lega lo spettatore all’oggetto
desiderato: lo colloca a distanza ravvicinata, ma gli impedisce
l’immedesimazione, costringendolo all’osservazione. Certo possiamo
pensare a una scelta registica semplicemente coerente col modello
letterario, con la poetica del Naturalismo francese. Ma questa ripresa
dei modi del cinema della modernità sembra qualcosa di più. |
Licia Miolo - novembre 2016 - pubblicato su MCmagazine 41 |