Ogni
saga ha un inizio
Un'attesa
di ventidue anni non è poco per acquisire coscienza dei meandri narrativi
che albergavano nel progetto di George Lucas. Fin
dal lontano 1977 (Guerre stellari) infatti si presupponeva
una scansione sequenziale in una triplice terna, ma solo il progressivo,
straordinario successo della saga-Skywalker le ha dato concretezza.
Ed ora gli albori della cosmogonia di Star Wars si sono alfine
rivelati in
Episodio
I -
La
minaccia fantasma. Di fronte a questo chiacchieratissimo prequel non si
può restare delusi, non si può neppure ritrovare l'ingenua emozione
"delle origini", si può solo lasciarsi trasportare nell'universo
fantastico di una galassia (lontana,
lontana...) dove lo stupore tecnologico si amalgama ancora una volta
con l'intarsio mitico del racconto.
Ogni
viaggio ha un primo passo
E
quello introdotto dal solito maxi-testo che scorre sullo schermo vede
il piccolo regno di Naboo stretto dalla morsa della Federazione, che
è in lotta con la Repubblica per oscuri intrighi di dazi e dogane. Embarghi, trattative-tranello,
strategiche invasioni riempiono l'avventura cosmica di grevi riferimenti
al presente, mentre il configurarsi di ambienti e situazioni richiama
la fantasy di Raymond (la città sottomarina sembra uscire da Flash
Gordon), Moebius (lo spazio-alveare del Parlamento), e Herbert
(le analogie con le faide di potere per il possesso della spezia
in Dune).
Vediamo finalmente in azione la potenza dei cavalieri Jedi (Qui-Gon
Jinn e il suo allievo Obi-Wan Kenobi) che sgominano gli avversari
con il funambolico saettare delle loro spade-laser. Ci imbattiamo
nella giovane Amidala (Natalie Portman) che beffa i suoi nemici (e
il nostro sguardo) sdoppiandosi tra l'altero ruolo di regina (in fiammanti costumi di ispirazione
tibetana) e il dimesso dinamismo di un'ancella (Padme). Restiamo esterrefatti
di fronte all'abilità di pilota del piccolo Anakin Skywalker che vince
sul suo sguscio una frenetica corsa di bighe spaziali
(il rimando è a Ben Hur)
e che si destreggia su un caccia stellare con la stessa sicurezza
"vincente" che esibirà cinquant'anni più tardi suo figlio
Luke.
Per chi non conosce a fondo la contraddizione
bene-male che anima l'epica morale di Star Wars ricordiamo
che il solare Anakin si lascierà sedurre da adulto dal lato oscuro
della forza (splendida l'enigmatica immagine del manifesto!) e si
trasformerà nel malvagio Darth Fener. Per ora Qui-Gon (Liam Neeson)
individua in lui soltanto il segno della predestinazione e lo affida
a Obi-Wan (Ewan Mc Gregor) perché ne faccia uno Jedi. Il consiglio
dei cavalieri dà il suo benestare, solo il saggio Yoda percepisce
l'incombente minaccia
Va detto che, rispetto all'antica fascinazione tout court di fronte
all'evolversi mitopoietico della trilogia, noi ci siamo fatti più
smaliziati e Lucas si è lasciato appesantire dalla responsabilità
esplicativa/citazionistica del suo amato giocattolo in celluloide:
così è innegabile la sfacciata ridondanza caricaturale di Jar Jar Binks (personaggio tutto digitale, esagitata versione computerizzata
di certe macchiette care ad Hollywood) e forse alla situazione politica
della Repubblica Spaziale, lacerata da "eterni" interessi
commerciali, manca il respiro di un ulteriore antefatto che ne districhi
le complicanze. Ma i veloci stacchi, le narrazioni in parallelo che
cadenzano
The Phantom Menace
caricano di indiscussa suggestione
una preambolo "storico" che, anche dove non spiega, lascia
comunque essenziali tasselli nel mosaico narrativo e che ha il coraggio
di enfatizzare ulteriormente la sua mistica fantascientifica: al "che
la forza sia con te" si aggiunge ora la messianica origine
di Anakin, da sempre "orfano di padre" e concepito da una
"concentrazione mai vista di midiclorian".
Se
dell'eccesso figurativo e diegetico Lucas si compiace senza remore,
il nostro approccio critico non riesce ad esimersi dall'analizzare
con leggerezza d'animo il sogno adulto di un'avventura infantile che
ci offre una delle più memorabili battaglie in campo aperto della
storia del cinema (esageriamo? Da Kurosawa a Eisenstein, da Kubrick a Braveheart)
e che riannoda con puntiglio i fili di un racconto intricatissimo
dove ogni singolo personaggio ha un suo spazio vitale, un'energia
e una confidenzialità dirompenti (primi tra tutti i robot C1-P8 e D3-BO,
ora, come in originale, R2-D2 e C3-PO). Certo manca la sensazione del nuovo, la spontaneità fiabesca
del "primo" IV episodio
(con l'irresistibile humor e la sfrontata simpatia di Jan Solo), ma
anche in questa Minaccia
fantasma
si sente "il tremito della forza" narrativa di un'epopea
stellare che, con favolistica nonchalance, lancia dallo schermo sferzanti
moniti civili ("il problema dell'universo è che nessuno aiuta
gli altri") e, mentre incrocia le spade-laser in appassionanti
duelli, mette in cartellone il cinismo della guerra e la mistica religiosa,
Freud e Tolkien, Asimov e Melies.
Ogni generazione ha una
leggenda
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