Tanto
tempo fa, in una galassia
(cinematografica)
lontana lontana…
Quante astronavi siderali hanno attraversato l’iperspazio del nostro
immaginario dal finire degli anni 70 ad oggi? Prima solo il viaggio
metafisico di
Kubrick
aveva riempito di fascinazione lo schermo, poi l’esperienza si è saturata,
dalle spedizioni seriali dell’Enterprise alla mistica scientifica
di Mission
to Mars. Ma non c’è dubbio che la
nuova fantascienza ha il marchio, bonario e mitico,
della
saga di George Lucas. La trilogia
epico-fiabesca di Guerre stellari-L'impero colpisce ancora-Il ritorno
dello Jedi,
dal suo
iniziale impatto spettacolare alla sua sfolgorante riedizione (1997),
ha fatto da ponte tra la cinefilia di più generazioni; la definitiva
riconfigurazione dell’opera con i tre
prequel (1999-2002-2005) ha saputo
tener desta la curiosità narrativa e recuperare nuovo consenso grazie
alla padronanza degli effetti speciali. È stata un’escalation di puntualizzazioni
diegetiche e di adeguamenti stilistici alle nuove tecnologie e il
risultato “esplode” in questo episodio conclusivo.
Se Episodio I - La minaccia fantasma
risultava accattivante per l’esuberanza digitale dei nuovi scenari
e la vivacità
di
personaggi
in sboccio ed Episodio II - L'attacco dei cloni
spingeva l’acceleratore sulla seduzione del video-game cinematografico,
con un surplus di situazioni incrociate, influenze di generi, ritmi
ipertesi, Episodio
III - La vendetta dei Sith
ha la turgida complessità di un’orchestrazione narrativa ponderata
in ogni tassello, di una forza
figurativa debordante. Il percorso che conduce Anakin Skywalker al
lato oscuro della forza si
arricchisce di tormenti e motivazioni che ben reggono l’evolversi
degli eventi, la sua storia
d’amore con Amidala sa inebriarsi e irretirsi in apprezzabile intensità
drammaturgia, il disvelarsi delle ambizioni e del potere occulto di
Darth Sidious suggella i nefasti presagi degli episodi precedenti,
la disfatta del consiglio dei Jedi lascia spazio alla ridefinizione
eroica di Yoda e Obi-Wan. Il finale, con la nera figura di Darth Fener
cui si contrappongono le adozioni “parallele”
di Leila e Luke, racchiude l’essenza dell’intreccio primario di
Star Wars: una colpa paterna che saprà redimersi dalla seduzione
del male solo attraverso l’amore filiale, un’iniziazione giovanile
guidata dalla presa di coscienza di sé e dal potere della forza.
Non manca in
Episode III
tutta l’iconografia cinematografica che ha reso grande la saga, dagli
adrenalinici scontri di incrociatori e caccia spaziali ai furenti
duelli a colpi di spade laser, dall’iperbolica creatività di paesaggi
futuribili (straordinario qui l’impatto delle scene “rubate” all’eruzione
dell’Etna) alla ridondanza armonica delle partiture musicali di John
Williams. E, nell’ambiguo confine che separa l’utopia democratica
dalla sete imperialistica, è possibile rintracciare anche velati segnali
di una critica politica di scottante attualità (“È così che muore
la libertà, sotto scroscianti applausi”).
Eppure dopo tante iterazioni narrative e tante folgoranti sequenze, la
nostalgia della limpidezza innovativa del primo
Guerre stellari (ora
Episode IV - A New Hope) incombe. Lucas nel suo “poema sinfonico” ha
via via abbandonato le arie briose alla Mozart in favore di una cupa
magniloquenza wagneriana: se ci inchiniamo con reverente ammirazione
all’imponenza del nuovo corso della Lucas Film non possiamo non
esprimere un pizzico di rimpianto per la trilogia originaria, per la
complessità mitica di quelli che erano allora soltanto immaginabili
antefatti, per l’ingenuità epica di un’emozione lontana lontana. |