Creature del cielo (Heavenly Creatures)
Peter Jackson
- Nuova Zelanda
1994 - 1h 39'

Nell
Michael Apted - USA 1994 - 1h 57'

                                        

GIOVENTU' BRUCIATE

   Il tormento generazionale da sempre scuote con veemenza l'albero delle illusioni cinematografiche, da Gioventù bruciata a Rusty il selvaggio, dal divismo introverso dei giovani Dean, Brando, Newman fino al disagio sottile della X-generation (Desideri smarriti, Giovani, carini e disoccupati, il recente Buon compleanno Mr. Grape). Ma nello sguardo del cinema di fronte alla "sofferenza" giovanile c'è anche un percorso di istituzioni in crisi (da Il seme della violenza a L'attimo fuggente), di rieducazioni sociali estreme (Il ragazzo selvaggio, Il sapore dell'acqua).
La questione, sia nel problema del gap generazionale, sia in quello dello sbandamento esistenziale quotidiano, si riconduce spesso ad un discorso di assenza di valori, di istanze culturali sopite, di massificazione alienante in contesti "espropriati". E, in risposta, si invocano la sintonia con l'ambiente, le sicurezze della famiglia e dell'amicizia, l'appagamento culturale di una fantasia spensierata e creativa. Ed ecco, a confrontare gli estremi di questa idealizzazione risolutoria, due film antitetici nella loro struttura stilistica e tematica quali l'americano
Nell e il neozelandese
Creature del cielo (Leone d'argento al 51° Festival di Venezia).
  Nell (regia di Michael Apted) gioca le sue carte proprio sulla saturazione di valori fondamentali (carità umana, distacco dai miti dell'efficientismo e del successo, rispetto per l'individuo e per l'ambiente) che abbracciano lo spettatore con la stessa maestosità della cornice paesaggistica in cui la vicenda si sviluppa. Lo scenario è quello delle montagne del North Carolina, la storia quella di Nell, "ragazza selvaggia" che ha "bruciato" la propria giovinezza in un isolamento coatto, accanto ad una madre anziana e quasi muta, e che viene "scoperta" dalla civiltà come caso clinico e umano eccezionale: si esprime con un linguaggio frammentato ed una gestualità incomprensibili, ha paura degli uomini e della luce del giorno, di notte danza alla luce della luna e fa il bagno nuda nel lago, comunica fragilità, tenerezza, bisogno di aiuto... Il coinvolgimento emotivo per i suoi "dottori", Jerome e Paula, è superiore a qualsiasi disputa scientifica (i due si immedesimeranno a tal punto come coppia di riferimento per la giovane figlia-paziente, da riscoprirsi non più antagonisti ma innamorati) ed il lieto fine collettivo è di tale serenità umana ed ecologica da inibire ogni critica contenutistica.
Eppure, di fronte a tanta declamazione "positiva" e al successo spropositato di pubblico, viene quasi il sospetto che il disorientamento delle nuove generazioni (USA e non) possa derivare anche dall'imbarazzante confronto con l'inanimata retorica di questi "temini" dei buoni sentimenti che i massmedia propinano con furbizia e sufficienza, ma che restano lontani dalla concreta esperienza del vivere contemporaneo. Certo la solidarietà ed il rispetto dei bisogni profondi della persona sono valori esistenziali inconfutabili e l'interpretazione di Jodie Foster è di grande effetto (non per niente ha prodotto il film puntando sul terzo oscar personale), ma tutto in
Nell sa di lezioso e scontato: le emozioni sono prevedibili, le asprezze edulcorate, le enunciazioni "morali" di una pretenziosità incongruente.
Se è tutta qui la forza trainante dell'assunto, se deve essere questa la via per il risanamento dell'immagine come strumento popolare educativo, si può capire perché, per contrasto, i ragazzi di oggi si lascino coinvolgere emotivamente dal fascino perverso di
Natural Born Killers.
   E, in analogia, è dalla disaffezione verso una cultura di valori dogmatici non rivitalizzati che scaturisce il dramma di Janet e Pauline, le protagoniste di
Creature del cielo (Heavenly Creatures). Siamo negli anni '50, in Nuova Zelanda e le due ragazze, compagne di liceo, conoscono un'amicizia intensa e totalizzante. Provengono da ambienti sociali contrastanti, hanno esperienze e caratteri diversi, ma le accomuna il rifiuto di una standardizzazione esistenziale perbenista ed un'intesa fraterna, velata di omosessualità ma segnata soprattutto da una fantasia ridondante. Il loro sogno è Hollywood, il loro credo è la tensione creativa di scrivere un grande romanzo. Nel loro fantasticare la finzione del racconto si confonde con la realtà del vivere, arrivando ad isolarsi dalla concretezza del quotidiano ed a concepire un omicidio con la leggerezza con cui progettano una scampagnata tra i boschi.
A sorreggere un percorso narrativo così estremizzato ed ambiguo c'è la straordinaria mano del regista Peter Jackson
film successivo in archivio, puntiglioso (con la co-sceneggiatrice Frances Walsh) nel sublimare nello script un fatto di cronaca reale (Christchurch 1954, "il caso delle lesbiche-assassine"), visionario nel dare concretezza all'irruenza fantasiosa di Juliet e Pauline, all'irrefrenabile giocosità della loro adolescenza, al mondo fiabesco della loro ingenua follia. Tutto è sopra le righe in Heavenly Creatures: la disincantata morbosità delle psicologie, il kitsch delle figure di creta della mitica Borovnia, i frenetici movimenti della macchina da presa, la sgargiante resa cromatica. E tutto è emozione, stupore continuo per l'invenzione cinematografica (possiamo ben parlare ormai di scuola neozelandese) e per la denuncia drammatica, ma scevra del moralismo e della retorica hollywoodiani. Quelle di Juliet e Pauline, così "normali" nella loro pulsione fantastica e nella loro contestazione omicida, sono due giovinezze "bruciate" che non creano miti, bensì evidenziano il rischio dell'estraneazione, l'ambiguità degli eccessi anche nell'amore supremo per la sublime arte della letteratura.

ezio leoni - Terza Pagina  aprile 1995


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