Il
potere della parola e la soave profondità della commedia
umana. Il cinema di
Eric Rohmer si può descrivere attraverso
l'esemplare titolazione dei suoi cicli cinematografici (racconti
morali,
commedie e proverbi,
racconti delle quattro stagioni):
il ciclo della vita che si confronta necessariamente con un
senso morale che scaturisce da riflessioni, dialoghi,
esperienze attraverso una cultura letteraria e filosofica di
cui l'essere umano è intriso, che permea il suo agire, che
lo costringe ad interrogarsi sul senso del vivere, sulle
contraddizioni sempre in agguato nella proverbiale
complessità del presente.
Nume tutelare della Nouvelle Vague, caporedattore dei
Cahiers du cinéma, saggista entusiasta sia di
Hitchcock che di
Murnau, Rohmer esordisce in sordina nel 1959 con
Il segno del leone
e deve attendere gli anni ‘80 per una vera celebrazione
internazionale con
Le notti della luna piena
e
Il raggio
verde,
entrambi premiati al festival di Venezia, a cui seguirà il
successo (comunque sempre commercialmente contenuto) dei
Racconti di
primavera,
inverno,
estate e
autunno.
Ma per il pubblico dei cinefili Eric Rohmer "nasce" nelle
seconda metà degli anni '60 quando dai suoi
racconti
morali,
dalla suadente confidenzialità della voce narrante,
fuoriesce il magma cattolico-esistenziale de
La mia notte con Maud,
in bilico tra menzogna e verità, tra tentazione e rimpianto.
Gli fanno seguito,in quello stesso ciclo, due altre gemme
come
Il ginocchio di Claire
e
L'amore il pomeriggio:
il gioco della seduzione e il tormento di una trasgressione
incompiuta.
Nel lasso artistico che precede la successiva serie commedie
e proverbi (inaugurata nel 1981 con
La moglie dell'aviatore)
si inseriscono due trasposizioni letterarie,
La marchesa von…
e
Perceval,
entrambe raffinate, storicamente puntigliose e, per quanto
riguarda la prima, di un'intensità, di emozioni e
sentimenti, indimenticabile.
Ora che il vecchio cantore di Tulle ha deposto la sua
elegante penna di sceneggiatore, scenografo, costumista,
vogliamo recuperare il suo primo periodo, quello forse meno
conosciuto, ma già eloquente della sua capacità autoriale di
una lettura interiore mai banale, di un cinema amabilmente
lento nel ritmo, estraniante nello stile, sobrio e
stimolante nello scavo delle psicologie, tra il pulsare
dell'inquietudine del singolo e lo stagnare dei rapporti
interpersonali. |