Jess
Hahn, compositore americano che vive e Parigi, apprende di avere ereditato
una fortuna: ma poi la notizia viene smentita. Solo e senza soldi nella
Parigi deserta d’agosto, si riduce a fare il barbone, finché i suoi amici
lo ritrovano e gli comunicano una nuova sorpresa della sorte… Il primo
lungometraggio di Rohmer, prodotto da
Claude Chabrol, è una riflessione
sul caso, in anticipo su molte sue opere future (da
La fornaia di Monceau a
Racconto
d’inverno), ma più dalle parti della tragedia greca che del
giansenismo cui abitualmente si associa questo regista: in questo film
l’uomo è un burattino nelle mani del destino, che sia propizio o avverso e
nell’improvvisa fortuna non vi è alcuna redenzione, ma un’oscura minaccia.
L’itinerario di degradazione del protagonista è descritto con un realismo
minuto di grande efficacia. Ma il film si ricorda anche come una delle
rare dichiarazioni d’odio che siano mai state fatte a Parigi: assolata,
sporca, ostile con i suoi marmi e melliflua con le sue acque. Jean-Luc
Godard è l’uomo che suona il giradischi. |
Dizionario dei film
– a cura di Paolo Mereghetti |
Présentation ou
Charlotte et son steak
Eric Rohmer -
Francia 1951 (b/n) - 9’ |
Véronique et son cancre
Eric Rohmer -
Francia 1959 (b/n) - 20' |
In un freddo giorno
d'inverno, in Svizzera, mentre la neve scende copiosa, un giovane molto
timido, Walter, si trova insieme a due ragazze: Clara e Charlotte.
Quando Charlotte lo invita ad accompagnarla nel suo chalet, Walter
accetta senza pensarci su. L'interno della piccola abitazione della
ragazza è, però, così freddo e angusto, da costringere l'imbarazzato
Walter a rimanere in piedi sullo zerbino con le spalle appoggiate al
muro assistendo ai preparativi di uno spuntino. Ripetendo di avere una
gran fretta, Charlotte si cucina una bistecca e la mangia voracemente
mentre Walter fa dei goffi tentativi di seduzione chiedendole di
avvicinarsi allo zerbino perché le vuole bene e vorrebbe baciarla.
Nonostante la ragazza ostenti indifferenza, Walter riuscirà a farle
superare la soglia e a darle il tanto agognato bacio. |
Véronique è una giovane e
bionda insegnante che fa delle lezioni private a Jean-Christophe, un
ragazzino che non ha per nulla voglia di imparare. Lo studente è
completamente disarmante anche perché non sa assolutamente cosa sia la
logica matematica e ascolta svogliatamente le spiegazioni di una
professoressa che dal canto suo, non ha metodo pedagogico e non ha
interesse a catturare l'attenzione dell'allievo. Infine, mentre
Jean-Christophe fa smorfie e boccacce e butta in terra i libri,
Véronique, sotto al tavolo, si sfila, non vista, le scarpe.
|
6 racconti morali |
[…] Per «racconto morale» non intendo un racconto con una morale, ma una
storia che descrive non tanto quello che i personaggi fanno, quanto
piuttosto quello che avviene nel loro spirito quando lo fanno. Un cinema
che delinea gli stati d’animo, i pensieri, assieme alle azioni. I miei
racconti morali non fanno vedere dei personaggi che espongono idee
astratte (...) ma che esprimono quello che pensano dei rapporti tra un
uomo e una donna, dell’amicizia, dell’amore, del desiderio, del modo di
concepire la vita, della felicità, della noia, del lavoro, del
divertimento, ecc. Tutte cose che sono senz’altro già state dette al
cinema, ma sempre in maniera indiretta, all’interno di una trama
drammatica, comica o tragica. Nei racconti morali non c’è né tragicità né
comicità assoluta. Se volete, sono più vicino a una certa forma di romanzo
classico - di i cui il cinema rappresenta la continuazione - che ad altre
formo di spettacolo, come il teatro. E questo per me è importante. Credo
di aver contribuito ad allontanare ulteriormente il cinema dal teatro.
(1971)
Perché filmare una storia quando la si può scrivere? Perché scriverla
quando la si filmerà? Questa duplice questione è solo apparentemente
gratuita. E si è posta precisamente a me. L’idea di questi Racconti mi è
venuta ad un’età in cui non sapevo ancora che sarei diventato cineasta. Se
ne ho fatto dei film, è perché non sono riuscito a scriverli. E se, in un
certo senso, è vero che li ho scritti - nella forma stessa in cui vanno
letti - è unicamente per poterli filmare. (1974) |
[…] La «moralità» di
Rohmer, e dei suoi racconti; non è - tanto o solo - quella esplicita,
quanto quella mediata che viene fuori dai modi di narrare: dai fatti, dal
loro collegamento emerge un principio «astratto» (le trame del caso, il
costituirsi un destino...), una morale appunto. L’aspirazione saggistica
si fa più chiara se si considera la tendenza dei film rohmeriani, alcuni
in particolare, a porsi come «conte philosophique», che magari prende da
fuori, che accetta la verbalità, che - meglio - si pone come avventura
dialogica. Moralità non vuol dire però partito preso; l’atteggiamento
dell’autore è invece fecondamente ambiguo. C’è distacco, talora ironia, ma
c’è anche partecipazione: il sottile senso della perdita che permane sotto
tutti i suoi film insinua l’incrinatura nell’equilibrio esterno.
Tutto, comunque, porta al racconto. Qui si apprezza il tono dei film,
l’apparente esilità che si fa lievitazione, le notazioni sfumate che
accumulandosi diventano spessore. Nel racconto si coglie quella vocazione
del cineasta al “mestiere”, il suo restare un «artisan bonhomme» come non
se ne vedono più. Costruzione e invenzione stanno assieme, l’autore
predilige aggiornare impianti datati, il movimento del film è spesso (si
pensi a La mia notte con Maud) costituito dal seguire le linee di incontro
o di divergenza - prima narrative che psicologiche — dei personaggi
schema. Rohmer sembra preferire un lavoro su materiale ristretto, su fatti
e intrecci ridotti. Questa «economicità» gli permette di crea re
sovrapposizioni, accumulazioni, di cogliere insomma le risonanze. Lo
schema di partenza spinge a variazioni sul tema, i «racconti morali» sono
tutti basati sullo stesso semplice meccanismo di incontri; la ripetizione
lascia spazio alla modificazione, al rinnovamento. Le dilatazioni
stilistiche, gli allentamenti, i pedinamenti non sono compiacimenti
formali, denotano piuttosto lo sforzo di scandire, di analizzare i vari
«momenti» del racconto, di penetrare il tema centrale, il percorso del
desiderio. |
Eric Rohmer
(Jean-Marie Maurice Schérer)
TULLE (Nancy) 04-04-1920 - PARIGI 11-01-2010 |
Giorgio Tinazzi –
Quaderni Circuito Cinema |
La fornaia di Monceau
(La boulangère de Monceau)
Eric Rohmer -
Francia 1962 (b/n) - 22’ |
6 racconti morali,
n° 1 |
A
Parigi, nel quartiere di Parc Monceau, il narratore, studente in legge (Barbet
Schroeder, la voce è quella di Bertrand Tavernier
),
incrocia spesso per la strada Sylvie e vorrebbe conoscerla. Ma non brilla
d’iniziativa… Una sera però riesce a scambiare con lei anche qualche
parola e a strapparle una seppur vaga promessa. Dopo quell’incontro però
Sylvie sembra scomparsa. Il narratore si ostina a ripercorrere le stesse
strade del quartiere tutti i giorni, nell’ora in cui ritiene più probabile
un incontro, ma senza risultato Finisce per fermarsi spesso in un
forno-pasticceria dove una giovane commessa gli manifesta un altro
interesse… Il punto di vista del narratore non è quello del film, anzi
l’immagine è proprio là per smentire le sue parole, senza tuttavia
contraddirle sistematicamente. Prendiamo un esempio. Quando il narratore
ci dice che la fornaia è carina o che lei gli manifesta un certo
interesse, nulla ci obbliga a credergli del tutto. Conserviamo la nostra
libertà, cosa che non avverrebbe se semplicemente leggessimo la vicenda.
Inoltre il narratore attribuisce alla ricerca di Sylvie, la prima donna,
un carattere quasi scientifico, che crolla immediatamente appena lo si
analizza. Alla sua «passione» egli infatti non dedica più di mezz’ora al
giorno e in un perimetro molto ristretto (..) Fin dall’inizio dunque il
suo atteggiamento rivela ben altro che la volontà assoluta di cui il
protagonista si compiace (...) e questa malafede è un tratto costitutivo
degli eroi dei racconti morali. |
J. Magny – Cinéma |
La carriera di Suzanne
(La carrière de Suzanne)
Eric Rohmer -
Francia 1963 - 53’ |
6 racconti morali,
n° 2 |
Il
narratore, Bertrand, è studente a Parigi ed abita nel Quartiere Latino. Di
natura timida e riservata, segue con dipendente ammirazione le prodezze
dongiovannesche dell’amico Guillaume. Un giorno in un caffè, i due giovani
conoscono Suzanne, una studentessa che si mantiene agli studi lavorando.
Guillaume convince Bernard ad aiutarlo a creare l’occasione per sedurre
Suzanne. Subito dopo però si stanca della ragazza e allora a Bernard
chiede di aiutarlo a liberarsene. Il trovarsi sempre coinvolto nelle
manovre amorose dell’amico, delle quali per altro non sa all’occasione
approfittare, fa intanto perdere a Bernard diverse opportunità di
conoscere di più Sophie, una giovane irlandese da cui si sente attratto e
che è però assiduamente corteggiata da Frank, il ragazzo più brillante del
gruppo. Dopo una strana vicenda legata a del denaro che gli è stato rubato
Bemard, che nel frattempo, per la sua goffaggine, ha definitivamente
perduto Sophie, assiste anche all’idillio tra Suzanne e Frank, che lei sta
per sposare.
La disgregazione del tema abituale (dei Contes) e l’assenza di
dimensione etica o filosofica apparentano La
Carrière de Suzanne alle cronache filmate della fine degli anni
‘50 e dell’inizio degli anni ‘60. Questo studio di costumi di una cena
gioventù offre d’altro canto un aspetto nouvelle vague del tutto inusuale
in Rohmer. Ci si respira l’atmosfera dei surprises-parties e di
dongiovannismo giovanile dei Tricheurs o dei Cousins, il
profumo leggermente desueto di un’epoca di transizione fra il rigorismo
anteriore e il lassismo futuro, un’epoca in cui si porta ancora la
cravatta sotto uno svelto pullover e in cui i rapporti più liberi tra
ragazzi e ragazze sono sempre regolati da un insieme di convenzioni il cui
carattere fittizio comincia appena a trasparire. Alcuni anni più tardi la
costrizione di questi tabù e regole implicite scoppierà e le Suzannes
diventeranno Collezioniste. |
M. Vidal - Six contes
moraux |
Nadja à Paris
Eric Rohmer -
Francia 1964 - 13’ |
Mentre
percorre i viali della Cité Universitarie di Parigi, la giovane
studentessa Nadja Tesich ne approfitta per confessarsi davanti alla
macchina da presa e parlare della sua vita, dei luoghi che frequenta.
Così mentre scorrono sullo schermo le immagini della capitale francese,
che si raccontano da sole, le parole di Nadja ci forniscono anche una
visione soggettiva rendendo ogni luogo protagonista di una doppia
storia. |
La collezionista
(La collectionneuse)
Eric Rohmer -
Francia 1966 (b/n) - 1h 23' |
6 racconti morali,
n° 4 |
Una
graziosa ninfetta di Saint-Tropez (Haydèe Politoff), che per principio
passa ogni notte con un uomo diverso, incontra Adrien, un giovane dandy
deciso a resisterle. Finiscono in casa di un collezionista di oggetti
d’arte e hanno altre esperienze in comune, ma il loro modo d’interpretarle
è opposto. E Adrien se ne va. Intellettualismo contro istintualità nel
terzo dei «racconti morali» di Rohmer, i cui dialoghi rischiano oggi di
apparire molto datati, così come un certo anticonformismo di moda. Ancora
molto affascinante, invece, l’occhio da entomologo di Rohmer, che registra
— con una naturalità e una semplicità cristallina — la vita quotidiana dei
suoi personaggi: gli ambienti sono scelti nel presente, ma la filosofia
smaliziata e il tono del racconto appartengono alla letteratura del XVIII
secolo. |
Dizionario dei film
– a cura di Paolo Mereghetti |
Une étudiante d'aujourd'hui
Eric Rohmer -
Francia 1966 (b/n) - 12’ |
La
macchina da presa di Rohmer entra nella facoltà di architettura della
Sorbona e si sofferma sul numero crescente di studentesse iscritte ai
corsi di laurea. |
La mia notte con Maud
(Ma nuit chez Maud)
Eric Rohmer -
Francia 1969 (b/n) - 1h 46' |
6 racconti morali,
n° 3 |
Clemont-Ferrand,
inverno: il trentenne Michel (Jean-Louis Trintignant), cattolico
praticante, a messa nota Françoise (Marie-Christine Barrault) e decide che
sarà la sua sposa. A casa di Maud (Françoise Fabian), giovane divorziata,
Michel parla del caso, della morale e del matrimonio, e non tradisce
Françoise. Ormai sposato Michel rincontrerà Maud dopo molti anni, e si
vedrà crollare addosso tutte le sue certezze.
Il terzo (anche se girato come quarto) e uno dei più belli dei racconti
morali di Rohmer. Il narratore Michel esordisce dicendo che «non dirà
tutto della storia», scommette pascalianamente col caso, si districa tra
menzogna e verità (farà credere a Françoise di essere stato l’amante di
Maud), ma alla fine rimane sconfitto. Su un intreccio di apparenti
simmetrie che ha la perfezione di un labirinto, si dipanano lunghi
dialoghi in cui i personaggi mettono alla prova le convinzioni loro e
degli spetta tori. Rohmer fa cinema con la parola senza adagiarsi nella
teatralità, e il gioco intellettuale cela seduzioni e tensioni che il
cinema riesce di rado a rappresentare con tanto acume e tanta forza. |
Dizionario dei film
– a cura di Paolo Mereghetti |
Il ginocchio di Claire
(Le genou de Claire)
Eric Rohmer -
Francia 1970 - 1h 41' |
6 racconti morali,
n° 5 |
In
procinto di sposarsi Jérộme (Jean-Claude Brialy) si mette a corteggiare
per scommessa prima la giovanissima Laure (Béatrice Romand), quindi la
sorellastra di quest’ultima Claire (Laurence de Monaghan), con lo scopo di
poter accarezzarle il ginocchio, così come a visto fare al fidanzato di
lei.
Il quinto dei racconti morali di Rohmer è una sorta di parafrasi
stilizzata delle Relazioni pericolose di Laclos: un gioco di seduzioni
architettate a freddo da Jérộme e dalla sua amica scrittrice Aurora
(Aurora Cornu), e un intreccio di voci (i dialoghi e il diario della
scrittrice) Più freddo di altri film di Rohmer (finisce con l’essere
infatti sia una riflessione su come si costruisce una storia che una
psicologia della seduzione), ma costruito con un’intelligenza,
cinematografica e non solo, sopraffina. Il direttore della fotografia
Nestor Almendros trova nel lago di Annecy un set ideale. |
Dizionario dei film
– a cura di Paolo Mereghetti |
L'amore il pomeriggio
(L’amour l’après-midi)
Eric Rohmer -
Francia 1972 - 1h 14’ |
6 racconti morali,
n° 6 |
In
attesa del secondo figlio, Frédéric (Bernard Verley), felicemente sposato,
gioca a fare il dongiovanni e subisce il fascino dell’amica Chloé (Zouzou),
che non è mai entrata nei ranghi della vita borghese. Ma quando le
fantasie rischiano di diventare realtà, scappa dalla moglie.
Narrato dalla voce fuori campo del protagonista, l’ultimo dei racconti
morali di Rohmer è forse quello dove è più evidente l’ironia del regista
ai danni del personaggio, intellettuale piccoloborghese che sogna evasioni
impossibili. Dietro gli intrecci e i giochi del caso si sente, più
chiaramente che in altre occasioni, il divertimento del demiurgo: ma c’è
anche il rischio del manierismo. Nella sequenza del sogno compaiono le
protagoniste dei precedenti Racconti morali: Françoise Fabian, Aurora
Cornu, Marie-Christine Barrault, Laurence de Monaghan, Béatrice Romand. |
Dizionario dei film
– a cura di Paolo Mereghetti |
La Marchesa von...
(La Marquise d’o...)
Eric Rohmer -
Francia/Rft 1976 - 1h 14’ |
|
Premio della
Giuria al festival di Cannes |
XVIII
secolo, Italia settentrionale: durante un assedio la figlia del
governatore (Edith Clever) è assalita da un gruppo di soldati nemici, ma
un conte (Bruno Ganz) interviene a salvarla. Dopo qualche mese la donna
scopre di essere incinta, senza sapere come possa essere successo.
Ripudiata dai genitori, mette un annuncio sui giornale per scoprire
l’identità del padre del bambino. «Non mi saresti sembrato un diavolo
se, alla tua prima apparizione, non ti avessi preso per un angelo»
dirà al responsabile. Un adattamento quasi letterale ma creativo del
racconto di Heinrich von Kleist, ambientato in un castello vicino a
Norimberga e girato in tedesco (antico) con attori di provenienza
teatrale. Rohmer ha detto di voler «illustrare il mondo di una volta
con la stessa attenzione al dettaglio che c’è nei
Racconti morali». Il vero tema è però
quello della passione compressa dalle regole sociali e dai décor
asetticamente neoclassici, del linguaggio del corpo che traspare sotto
quello delle parole: tanto che alcuni critici hanno definito questo film,
castissimo, come uno dei più erotici della storia del cinema. Intelligenti
le citazioni pittoriche (fotografia di Nestor Almendros) a cominciare da
quella dell’Incubo di Füssli — senza il demone — che allude allo
stupro della protagonista. |
Dizionario dei film
– a cura di Paolo Mereghetti |
[...]
Un film, in cui tutti piangono, svengono, si amano, si odiano, esaltano
ideali, sono travolti da passioni violente o permeati da delicati
sentimenti. L'opera di Kleist, in questo film, è come un dramma raccontato
di nuovo, un'opera teatrale trasposta in film, con entrate ed uscite
perfettamente calcolate, messaggi, grandi scene d'insieme e lettere che
fanno scattare la dinamica dell'azione. Tutto questo condito con un
complicato linguaggio stilizzato che si rivolge spesso, con patetica
commozione, attraverso parole galanti e misurate. Un film spettacolare in
cui Rohmer, chiaramente innamorato dello stile Impero, cura ogni sequenza
in modo tale da farla apparire come un dipinto dei primi del XIX secolo,
facendo muovere i suoi personaggi in una cornice rigorosamente
neoclassica. Si può parlare anche di commedia perché il regista non
tralascia mai un'occasione per fare dell'umorismo, per insinuare
dell'ironia, riuscendo insieme con il pathos, a sviluppare la comicità e
il sentimento, affrontando con coraggio sia le facezie melodrammatiche sia
quelle tragiche, liete e sentimentali. Rohmer e Kleist: coincidono
perfettamente, sono un unico uomo. I personaggi di Kleist vivono
nell'eterno conflitto psicologico (Rohmer lo definirebbe moralistico) tra
essere e consapevolezza, tra sentimento e intelletto, tra io assoluto e le
reali esigenza ambientali. I problemi e le incertezze della marchesa e del
conte non si discostano da quelli delle "storie morali": lei lo ama e lo
odia, lo chiama angelo e demonio contemporaneamente; lui, il nobile
salvatore, è allo stesso tempo un uomo impulsivo che non conosce ostacoli,
che le offre il proprio nome e che l'ama appassionatamente. Edith Clever e
Bruno Ganz, due attori della Schaubühne am Hallescen Ufer di Berlino, sono
due figure ideali uscite dalla mente di Kleist: sognatori, eternamente tra
le nuvole, ingenui, spinti e travolti dal vortice della consapevolezza,
della riflessione, delle loro lacerazioni, che alla fine, però,
riconquistano dignità e soavità perché sono "puri di cuore". Il grosso
rischio che il film nascondeva è superato proprio grazie alla loro
intensità, alla loro fede interiore. |
Wolf Donner - Il Tempo |
cinema
invisibile
TORRESINO
aprile-giugno 2010