Il tocco del peccato - A Touch of Sin (Tian zhu ding)
Jia  Zhang-Ke - Cina 2013 - 2h 13'

miglior sceneggiatura


   Alla ricerca di una via che eviti il martirio, Jia Zhang-Kefilm successivo in archivio offre in saldo quattro episodi, con agghiacciante prologo in motorino per raccontare la crisi della società cinese nella provincia mineraria dello Shanxi: stili appropriati, dolorosi e precisi. Quattro ritratti d'infelicità aggiornati a oggi di un paese ormai allineato alle frustrazioni nostrane con gran raccolto di solitudine, indifferenza, infelicità. (...) Si fanno i conti con una società in fieri ma con morale già mutata, corruzione e volgarità ai tassi di cambio di quell'Occidente in crisi irreversibile, tanto che l'avidità regna sovrana sul consumo di auto e telefonini. E se Miss Violence inizia con una ragazzina che si butta dal balcone, qui nell'ultima scena un giovane la imita azzerando il futuro. L'autore dice trattarsi di un «wuxiapan» (cappa e spada) di oggi ma con una violenza del tutto insensata in un paese ufficialmente in progress ma dove già è stata scoperta la mortale infezione dell'indifferenza e una inesauribile, esistenziale, sete di rivalsa e vendetta su tutto.

Maurizio Porro -  Il Corriere della Sera

   Anche se da noi il cinema di quel Paese si è sempre visto poco, è probabile che Le Monde non abbia avuto torto nel definire Il tocco del peccato «uno dei più bei film cinesi di tutti i tempi». Però la Cina non potrebbe vantarsene, perché vi è descritta come un inferno di violenza e disperazione, da cui ogni traccia di umanità pare ormai cancellata. E tantomeno potrebbe menarne vanto sapendo che i quattro episodi di cui è composto il film sono tratti da reali - e sanguinosi - episodi della cronaca recente. (...) Vincitore del Leone d'oro a Venezia nel 2006 con il suo Still Life (unica opera del regista arrivata nelle sale italiane), Jia Zhang-Ke racconta la Cina odierna in questo film prodotto dall'Office Kitano e premiato per la sceneggiatura all'ultimo Festival di Cannes: un Paese portato alla rovina dall'unione incestuosa tra comunismo e capitalismo selvaggio dove prevaricazione, corruzione e sfruttamento non sono eccezioni ma regola quotidiana che devasta la vita della gente. Soprusi ai quali tutti e quattro i personaggi principali della tetralogia si oppongono; ciascuno a suo modo però sempre con esiti distruttivi. Il cineasta compone un'opera di grande respiro, ambientata in quattro diverse città (Shanxi, Chongqing, Guandong e Hubei) ma le cui parti sono collegate tra loro, specie nel prologo e nell'epilogo, da fili sottili. Il primo episodio è abbastanza sorprendente per chi avesse visto il delicato Still Life: truculento e tinto di humour nero, sembra girato dalla cinepresa di un Quentin Tarantinofilm precedente in archivio orientale. Nei successivi, pur nella violenza di rispettivi avvenimenti, affiora la poetica dolente del cineasta; cui questa volta, però, si affianca una dose di autentica indignazione. In ogni caso lo stile della rappresentazione resta perfettamente controllato ed elegante, le inquadrature sono composte con cura, i movimenti di macchina misurati e precisi nella preziosa fotografia del cinematographer di fiducia del regista, Yu Lik-wai. La descrizione del devastato panorama morale della Cina di oggi lascia sbalorditi e amareggiati, mentre alcune scene emblematiche si installano nella mente dello spettatore. Come quella del night in cui una squadra di belle fanciulle in (succinte) uniformi da Guardie Rosse sfila davanti ad anziani clienti tra il divertito e l'eccitato. Un modo duro di dirci come è finita quella rivoluzione maoista che un tempo ebbe sostenitori entusiasti anche in Occidente.

Roberto Nepoti - La Repubblica

   Disoccupati che si improvvisano giustizieri. Folli che vagano in motorino sotto la neve uccidendo balordi. La timida impiegata di una sauna (la straordinaria Zhao Tao, l'attrice di Io sono Li), pestata dalla moglie del suo amante, che uccide a coltellate due prepotenti, come l'eroina di un film di arti marziali. Un giovane operaio emigrato nel prospero Sudest, zona economica speciale, che disgustato da corruzione e marchette decide di farla finita. Storie vere dalla Cina di oggi, esasperate accumulando stili, spunti, eccessi, materiali e formali. Le Maserati dei nuovi ricchi e la miseria degli eterni poveri, tradizioni magiche e modernità feroce, templi buddisti e escort vestite da guardie rosse. Lirico, pulp, commosso, crudele. Bellissimo. E molto ambizioso: un film solo per abbracciare in un unico sguardo la nuova Cina.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

   Quattro storie che finiscono nel sangue, a ricordarci che lo sviluppo vertiginoso della Cina ha soprattutto aumentato il fossato tra ricchi e poveri (sconvolgente la scena in cui un ricco infoiato schiaffeggia con una mazzetta di soldi la protagonista della terza storia) e che Jia dirige con uno sguardo sconsolato, verso un'umanità che ha perso ogni dignità e dove solo la violenza sembra capace di ridare un senso alle azioni. Quattro storie «private» che però aprono squarci di riflessione su quattro momenti «politici»: il passaggio dall'economia collettivistica a quella privata nel primo caso, il disprezzo e l'annientamento di ogni tipo di legge nel secondo, lo sfruttamento dell'uomo sulla donna nel terzo e il peso del denaro nel quarto. Quattro ferite che letteralmente sanguinano (impossibile non pensare al ruolo del coproduttore Kitano) e che riconfermano la capacità di Jia Zhang-Ke di fare grande cinema riflettendo sul destino della sua Cina.

Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera

   Omaggio, e non solo nel titolo, al grande maestro del cinema cinese King Hu, re del filone wuxia, e al suo Touch of Zen, ne «eredita» anche la tensione per una forma narrativa appassionante e aderente ai conflitti storico politici del presente e del passato. A Touch of Sin è un film a episodi: quattro storie di vendetta proletaria ispirate a recenti fatti di cronaca accaduti in Cina, che la narrazione di Jia accorda con un senso musicalmente stridente al segno delle lacerazioni di un paese in cui la crescita del Pil è direttamente proporzionale a quella dello scontro sociale e dei tumulti. Cosa è quel «tocco di peccato» disseminato nella macchina neocapitalista globale? Il respiro incessante del lavoro in un paesaggio mai inerte, in cui il corpo è acceso 24 ore su 24, in fabbrica o come strumento di piaceri, a coltivare la terra o a pulire le verdure. «Dove vuoi andare - dice un ragazzo all'amico che sogna la fuga nell'altrove - Il mondo è in crisi ovunque». Nessuno sembra fermarsi mai nella «nuova» realtà di ricchezze e miserie, lusso sfrenato e sopportazione silente che asseconda l'ambizione di conquistare un giorno «anche io» qualcosa. Però ci sono limiti che nessun essere umano può sopportare, oltre i quali o si rivolta collettivamente o reagisce in solitudine. Ma in questa specie di moto continuo cosa significa - se ha ancora un senso - «rivoluzione»? Il rapporto a distanza tra le storie e la Storia, è al centro del cinema di Jia dal primo film, Pickpocket (1997), al cui protagonista, il giovane ladro emarginato, questi personaggi somigliano: vivono infatti la stessa incapacità di «adeguarsi» al sistema sociale, che scivola nell'esasperazione. A differenza di lui, e degli altri però, i protagonisti di A Touch of Sin (coprodotto insieme a Takeshi Kitano) reagiscono, rispondono alle vessazioni con una violenza surreale, e ferocemente politica. È la lezione del buddismo «zen» (assimilata da King Hu ma anche da Tsui Harkfilm precedente in archivio e da Kitanofilm precedente in archivio) come filosofia del combattimento, della prassi, della comunicazione individuale e collettiva. Insieme alle antiche tradizioni culturali e marziali (il teatro e la letteratura popolare, gli artisti di strada, il tempio di Shaolin...) che continuano saldamente nella loro funzione di «provocare» la giustizia. La sfida dunque è alta, e semplice insieme: si tratta di iniettare la spettacolarità politica dell'immaginario nella realtà quotidiana per denudarne l'oppressione feroce. (...) Western, romanzo storico-popolar-criminale, opera tradizionale, A Touch of Sin declina il «wuxia» al presente: dal nord al sud della Cina, lo Shanxi, lo Hubei, il polo manifatturiero di Guagngdong, e le megalopoli di Chongqing, i protagonisti scoppiano all'improvviso, bombe deflagranti di una miseria velata nel denaro, sintomi di un malessere diffuso in quell'attività senza tregua. Ci parlano dei pericoli nascosti nell'improvvisa prosperità e nelle trasformazioni traumatiche di campagne e città, tra cemento, polvere nera delle miniere, fabbriche squadrate che somigliano a scatole delle scarpe. La geografia quotidiana di Jia non conosce retorica o sentimentalismi. Ci porta nei mercati, tra gli animali, veri o sognati che possono suicidarsi, o mimetizzarsi (come in un film di Bruce Lee) tatticamente nel filo dell'orizzonte. Fissa lo sguardo prolungato dell'uomo che osserva la bimba prima di sgozzarle l'amata papera. Si sposta nelle archeologie industriali, in cui la collera è sprezzo per la dignità che i ricchi ovunque siano - lo stesso regista si riserva il ruolo di un cliente del locale - esercitano. E la «sua» Cina racconta qui, in questi conflitti, il senso del capitalismo oggi, denominatore comune di un tempo in cui la ribellione può rimanere sola. O diventare, appunto, rivoluzione. Tutta da inventare.

Cristina Piccino - Il Manifesto

 

promo

Un minatore, esasperato dalla corruzione dei dirigenti del villaggio, si ribella alla corruzione del capo del suo villaggio. Un lavoratore migrante, a casa per il Capodanno, scopre le infinità possibilità che un'arma da fuoco può offrire. Una bella receptionist di una sauna si vede costretta ad agire senza mezzi termini per difendersi dalle avance di un cliente facoltoso. Un giovane operaio cerca disperatamente di migliorare la propria vita, ma passa da un lavoro all'altro in condizioni sempre più degradanti. Quattro vite che si intrecciano in quattro province di una Cina in via di sviluppo, ma brutale e violenta. Una riflessione impietosa sulla realtà sociale di un gigante economico cresciuto troppo in fretta. Lirico, pulp, commosso, crudele, elegante e ambizioso... Un film per cui gli aggettivi non bastano e che prova ad abbracciare in un unico sguardo la nuova Cina. Il tocco del peccato si segnala per la straordinaria potenza visiva e narrativa che lavora con sapienza sugli spazi reali e metaforici. Un'opera di grande respiro, meravigliosa e inquietante.

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 LUX - dicembre 2013

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