Premio speciale per la regia
Fra
coloro che conoscono e amano Takeshi Kitano la curiosità era grande:
cosa sarebbe nato dall’incontro tra il grande regista giapponese (
Leone d’oro nel ’97 per Hana-bi),
noto anche come bizzarro personaggio comico televisivo col nome di
Beat Takeshi, e uno dei protagonisti più amati della cultura popolare
giapponese, il guerriero cieco
Zatoichi?
Kitano ha accolto la proposta di cimentarsi con il film storico in
costume come una vera sfida: riuscire a rinnovare radicalmente la
tradizione partendo da un personaggio già caratterizzato e da elementi
narrativi e formali ben codificati.>>
Zatoichi è infatti il protagonista di un serial televisivo degli anni
Sessanta–Settanta, amatissimo dal pubblico giapponese: massaggiatore
cieco, egli si muove nel Giappone del XIX secolo, vagando di villaggio
in villaggio; silenzioso
e solitario, di fronte a ingiustizie o soprusi non esita ad estrarre
dal suo bastone la Katana, la leggendaria spada dei samurai, e a difendere,
con la sua straordinaria abilità, le sorti dei più deboli. Nel film
del personaggio originale sono conservate solo le caratteristiche
esteriori: il silenzio è lo stesso, ma anziché segno di riflessiva
umanità esso diventa espressione di una maschera di ostinata impassibilità,
che ha il volto dello stesso Kitano. Quel che rimane è una macchina
da guerra, che agisce quasi meccanicamente e con sicura efficacia,
ma dietro la cui azione non si intravede saggezza, ma una profonda
"cecità" di fronte alla realtà. Se questa considerazione
si fa strada un po’ alla volta, quello che colpisce subito è invece
la varietà di effetti che Kitano regista ottiene dalla presenza di
questo personaggio “di pietra” (capace però di trasformarsi in un
attimo in una saetta) a contrasto con la varia umanità che gli si
agita attorno. In primo luogo lo humor, che punteggia tutto il film,
fino a vere e proprie gag comiche, ispirate al teatro delle sue prime
esperienze, che il regista scherzosamente definisce "pause-caffè"
tra un duello e l’altro. E perché il contrasto con le uccisioni non
risulti troppo stridente, egli trasforma i duelli in vere e proprie
esplosioni di colore: il sangue zampilla così abbondante e colorato
(anche grazie all’uso del digitale) da diventare il protagonista delle
sequenze, togliendo realismo alle situazioni e spostando l’attenzione
sulla pura forma. Licia Miolo - MC magazine 8 - ottobre/novembre 2003 |
LUX - dicembre 2003