Dovessimo
indicare dieci grandi cineasti capaci di raccontare i mutamenti del
presente, il cinese Jia Zhang-ke sarebbe sicuramente nel gruppo. Eppure
ogni volta che esce un suo film bisogna ripartire da zero. Per un regista
abbonato a Cannes e Venezia (...) è un bel paradosso. Il provincialismo
del nostro mercato e la dittatura del doppiaggio certo non aiutano. Ma è
un peccato anche perché Jia, come ogni grande narratore, sa illuminare il
suo angolino di mondo come se fosse nostro, cancellando d'un colpo
abissali differenze di lingua e cultura. Prendiamo questo
Al di là delle
montagne (...) può sembrare una grande allegoria confusa e macchinosa, e
tornano in mente gli scivoloni di maestri come Wenders e Wong Kar-wai.
Invece il film vive di idee semplicissime, fisiche, immediate, che
aderiscono come una seconda pelle a personaggi e destini. A partire da
quel primo e sfrenato ballo collettivo, che traduce come meglio non si
potrebbe il desiderio di cambiamento, la sete di piacere, la febbre di
vivere che si è impadronita della Cina e dei cinesi. Finalmente, insomma,
un film che interroga corpi, spazi, luce, paesaggi, durata. Accordando
sentimenti personali e mutamenti collettivi in una musica unica e
speciale, nuova e insieme immediatamente comprensibile, che è il marchio
distintivo del grande cinema. Il tutto raccontato con un'adesione fisica e
emotiva ai suoi protagonisti di grande impatto (...). La Cina non è mai
stata così vicina. Purtroppo..
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Il
tema del film è semplice e non certo nuovo: come resistono al passare del
tempo i sentimenti umani? Quello che però fa la specificità del film di
Jia Zhang-ke
Al di là delle montagne
è come il regista cinese affronta questo tema, come lo «piega» alla sua
visione del cinema e delle cose, come lo declina di fronte alle reazioni
dei suoi personaggi, come lo confronta con l'evoluzione degli avvenimenti.
In una parola, come quel tema così semplice e risaputo diventa cinema.
(...) Jia è probabilmente il più conosciuto e bravo dei giovani
protagonisti del cinema cinese (...): lontano dall'idealizzazione del
mondo arcaico delle campagne ma anche dagli incubi delle megalopoli come
Pechino e Shanghai al centro dei film di chi l'aveva preceduto, ha saputo
raccontare quella Cina di mezzo su cui è caduto il peso del la
modernizzazione e sta pagando lo scotto maggiore delle nuove forme di
organizzazione sociale, proprio come è successo nella sua città natale,
Fenyang, nel nord della Cina, dove inizia anche
Al di là delle montagne.
(...) Una stessa storia divisa in tre periodi (dove quello ambientato nel
futuro è di fatto il ritratto appena un po' romanzato di un possibile
presente) e che Jia utilizza non solo per scavare nella fragilità e nella
volatilità dei sentimenti umani ma anche per raccontare la mutazione
antropologica del proprio Paese e dei propri concittadini. È questo il
nodo del film e la sua forza, che la messa in scena sottolinea a partire
dal diverso formato dell'immagine («classico» nel 1999, «panoramico» nel
2014, «scope» nel 2025), utilizzato però con una curiosa inversione di
senso: più si allarga l'inquadratura più si riduce lo spazio dedicato al
paesaggio per portare in primo piano i volti dei vari personaggi. Jia non
è mai didascalico, non cerca di lanciare messaggi agli spettatori,
piuttosto chiede loro di mettere assieme i vari «segni» che la sua
macchina da presa coglie, a volte anche in maniera apparentemente
incongrua, come il giovane che porta in giro l'alabarda col pendaglio
rosso tipica della divinità mitologica Guan Gong (...). O come la tigre in
gabbia o il camion carico di carbone che non riesce a rimettersi in
cammino. Oppure scegliendo canzoni che illustrano precisi stati d'animo,
come «Go West» dei Pet Shop Boys il cui fascino libertario accende un
sogno di cui non si misureranno le conseguenze o come la pop star cantone
se Sally Yeh che canta «Take Care», il cui testo esalta il valore eterno
di quei sentimenti che invece i protagonisti del film hanno tradito. A
ribadire una complessità e un'ambiguità che i vent'anni di vita cinese
raccontati dal film hanno mostrato al lavoro sulle persone.
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