Nel
1990 in Abcasia Ivo e Margus provano a resistere sulla loro terra, ambita
dai georgiani e difesa dagli abcasi. Ivo, esiliato estone, costruisce
cassette per i mandarini di Margus, vicino di casa compatriota che sogna
un ultimo raccolto prima di abbandonare il villaggio. Ivo invece non ha
mai pensato di andarsene perché in quei luoghi 'riposa' il suo bene più
prezioso. Vecchio e saggio Ivo è suo malgrado travolto dagli eventi. Uno
scontro tra georgiani e mercenari ceceni, in cui sopravvivono soltanto due
soldati, lo costringe a intervenire e a soccorrere nella propria casa e
coi propri mezzi i feriti. Di parte avversa, i due ospiti provano a
convivere sotto lo stesso tetto e sotto lo sguardo rigoroso di Ivo che
converte il loro odio ottuso in un sentimento nobile e complesso.
"La guerra è sempre stupida", scriveva Giuseppe Ungaretti ma ci
sono guerre, "particolarmente stupide" come il conflitto georgiano-abcaso
esploso all'indomani della dissoluzione dell'Unione Sovietica. In quel
teatro di guerra, ficcato tra le montagne e il Mar Nero, Zaza Urushadze
cerca, scava e trova le parole (e le immagini) per dire
dell'irragionevolezza delle contese e della fermezza di due uomini che
scelgono di non disertare la loro terra e la loro vita. Selezionato come
miglior film straniero agli Oscar e ai Golden Globe,
Mandarini
non è un film di guerra abitato da supereroi che cuciono punti di sutura
al fronte, è piuttosto la storia di una breccia, di una linea
spazio-temporale tesa tra due fronti e una sola assurda carneficina.
Costretti dalle ferite in una zona franca, i due militari, uno georgiano e
l'altro ceceno, diventano attori di un dramma più teatrale che
cinematografico, che elude la prevedibilità con un paio di scarti
narrativi e un cast di attori rari, capaci di muoversi tra sopraffazione e
compassione. Su tutti il 'padrone di casa' di Lembit Ulfsak, che abita una
sede pacifica di poesia e incarna l'onore e la necessità di comunanza
nella sofferenza.
Sentire gli uomini come fratelli per il suo personaggio non è solo
questione di natura ma, in guerra, diventa ragione e verità. Resistente
tra la morte e i morti, Ivo sceglie parole, pochissime parole, decise e
assolute perché sa che non c'è tempo. Una scarica improvvisa di fuoco può
abbattere un uomo che un altro ha appena rimesso in piedi, bruciare un
raccolto che un contadino ha coltivato con le stagioni, inficiare la
generosità e il coraggio di un gesto in un momento in cui violenza e
disperazione sembrano le uniche vie d'uscita. Contro l'impotenza, l'unico
nemico veramente da combattere, l'autore georgiano schiera Ivo che
'riabilita' nel corpo e nell'anima due 'nemici' che come sull'altipiano di
Emilio Lussu si scoprono uomini. Nel silenzio della sua casa e nei suoi
silenzi autorevoli, i due avversari recuperano la dimensione umana e
apprendono che il 'nemico' ha a che fare con l'identità del sé,
individuale o collettivo, che il nemico non è mai portatore di
un'estraneità piena e totale, anzi è forse più spesso e più intensamente
il polo di una relazione, per quanto ostile. Nella tregua, in un momento
rallentato, in quella magica sospensione, Urushadze ragiona sul nemico che
reca l'amico, sulla guerra infiltrata dalla pace, sulla segreta relazione
che rischia di collassarle nell'indistinzione.
Mandarini
rimedia poi alle lacune della stampa evocando avvenimenti poco o nulla
mediatizzati, come la guerra del 1990 in Abcasia, provincia secessionista
della Georgia. Urushadze la racconta senza la compiacenza del genere,
sovente giustificata in nome dello spettacolo, e affronta con efficacia il
concetto di guerra globale, quella che interagisce immediatamente col
tutto, quella che coesiste con la più alta indifferenziazione fra amico e
amico, quella che radicalizza l'ossessiva e vana ricerca di radici e
sicurezza, tracciando confini arbitrari ed escludenti. Sospeso tra l'atemporalità
imperturbabile dei riti e della natura e il quadro circostanziale, una
guerra sanguinosa, Mandarini produce una bolla di comunità utopica che
rende possibile una nuova amicizia tra gli uomini e tutela la parte debole
di ogni guerra, raffigurata in una fotografia. È Maria, la nipote di Ivo,
che il nonno preserva dalla barbarie. 'Donna angelo' trasferita in un
mondo lontano e cortese, il suo nome è dichiarato soltanto al soldato
acceso da un sentimento sincero. L'ultimo prima di morire.
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