Django Unchained
Quentin Tarantino
- USA
2012
- 2h 45' |
|
miglior attore non protagonista (CHRISTOPH WALTZ)
miglior sceneggiatura originale (QUENTIN TARANTINO) |
Il
titolo
Django Unchained,
cioè s-catenato, è esemplare della sensibilità, dello stile, delle doti di
Quentin Tarantino. Dopo aver pescato qui e là nella sua conoscenza
cinematografica enciclopedica e nella sua passione per il cinema italiano
di genere, si sofferma sul western. Cioè il massimo di americano
attraverso la lente deformante dell'incursione italiana operata quasi
messo secolo fa da Leone e compagni. C'è un modello, il film
Django del '66 di
Sergio Corbucci con Franco Nero nel ruolo di un reduce nordista
vendicatore che fa strage di due intere bande grazie all'arma micidiale
che trascina con sé nascosta dentro una bara. Pur partendo da lì e
riusando molto materiale (a cominciare dalla ballata di Bacalov) Quentin
non solo racconta una storia tutta virata sulla questione dello
schiavismo, ma soprattutto (ri)dimostra una capacità di reinvenzione
unica... |
Paolo D'Agostini -
La
Repubblica
|
È impossibile
non amare un film che apre con i titoli di testa, ovviamente rossi, sulle
note della celebre Django
composta da Luis Bacalov e cantata da Rocky Roberts per il film di Sergio
Corbucci e si conclude con Lo chiamavano Trinità
di Franco Micalizzi mentre il suo eroe, il nuovo Django di Jamie Foxx, è
diventato da schiavo barbuto un sofisticato eroe da blaxploitation anni
'70 con occhialetto nero che lascia Candyland tra le fiamme. All'interno
di questi due brani fondamentali per la storia degli spaghetti western, ci
sarà di tutto, dagli omaggi a
Mandingo a
The Legend of Nigger Charley,
da Minnesota Clay a
Charley One-Eye, da
The Bounty Killer
a
Lo chiamavano King
da James Brown a Ennio Morricone, ma meno sostanza da spaghetti western di
quel che i fan si aspettavano.
Django Unchained
di Quentin Tarantino, esattamente come
Inglorious Basterds
usava il maccaroni war movies, si serve di un genere molto amato, lo
spaghetti western, e di tutti i suoi miti (...). Coi suoi americani
stupidi, razzisti e analfabeti, i neri intelligenti e i tedeschi spiritosi
e coltissimi,
Django Unchained
è molto più profondo di quanto vi diranno. È molto più fuorviante e pieno
di sorprese... |
Marco Giusti -
Il Manifesto
|
Al
western nostrano si ispira Quentin Tarantino, il quale con
Django Unchained
riprende il personaggio creato da Sergio Corbucci nel 1965, facendone uno
schiavo nero, socio in affari di un bizzarro cacciatore di taglie tedesco
che lo ha liberato dalle catene. (...) Nell'intero film il tema della
schiavitù è trattato con la stessa disinvoltura a stravolgere la storia
già mostrata in
Bastardi senza gloria. Ma si
sa che il regista di
Pulp Fiction si preoccupa della filologia solo
quando paga pegno alla cinefilia, inanellando dotte citazioni (fra cui
l'apparizione in una breve scena del Django originario, Franco Nero) e
strizzando l'occhio ai film di samurai come al cinema di Hong Kong.
Tuttavia il suo giocare al B Movie è in qualche modo truccato: nella
migliore tradizione di Hollywood, Quentin ha impiegato divi di prima fila
e sviluppato una sceneggiatura che, se pur si compiace di scivolare nella
goliardata e nel sadismo con tanto di vistosi spruzzi di sangue, è un
tipico distillato del suo talento di scrittore succoso e divertente. In
Bastardi senza gloria, film più riuscito, la formula funzionava meglio:
però anche qui le quasi tre ore di proiezione scorrono piacevoli; e il
cattivo possidente del Sud Leonardo di Caprio e, soprattutto, il tedesco
compito di modi e rapido a uccidere cesellato da Christoph Waltz sono
memorabili. |
Alessandra Levantesi Kezich -
La Stampa |
promo |
Stati
Uniti del Sud, due anni prima della Guerra Civile. Il dottor King
Schultz, sulle tracce dei fratelli Brittle, prende con sé lo
schiavo Django e lo addestra come cacciatore di taglie. Passato
l'inverno e dopo varie missioni compiute insieme, i due Bounty
Killer organizzeranno un piano per entrare a "Candyland", la
famigerata piantagione dello spietato proprietario terriero Calvin
Candie, in cui potrebbe trovarsi Broomhilda, la moglie che Django
ha perso quando entrambi sono stati rivenduti, separatamente, come
schiavi... Camera alla mano Quentin riscrive la Storia e fa la
revisione allo schiavismo, mettendo al pubblico ludibrio un Ku
Klux Klan ante litteram e facendo esplodere le contraddizioni di
ogni privazione della libertà. Nella sua maturità cinefila,
prendendo spunto dai generi per poi spesso tradirli, sa riscrivere
una sua personale contro-storia, sempre divertendo e divertendosi:
dialoghi fulminanti, un Sigfrido nero e la mitologia ultrapop. |
cinélite
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giugno-agosto
2013
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